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‘Schengen val bene una legge’

Voto sulle armi, Cattaneo: ‘Non mettiamo in pericolo i vantaggi dell’accordo per un’autorizzaz­ione’

- di Luca Berti

Il consiglier­e nazionale: non esiste un diritto a possedere fucili e pistole in Svizzera. Abbiamo negoziato bene e le nostre tradizioni sono salve.

«In Svizzera non esiste un diritto fondamenta­le a possedere un’arma. E di sicuro non c’entra nulla con il diritto d’espression­e». Non ci sta il consiglier­e nazionale Plr Rocco Cattaneo, membro della Commission­e della sicurezza. Non ha gradito le esternazio­ni in questo senso fatte dal presidente nazionale della Comunità di tiro svizzero Luca Filippini da queste colonne il 2 aprile scorso.

Tema: la votazione del prossimo 19 maggio in cui si dovrà decidere se recepire la normativa europea sulle armi da fuoco. O meglio, se recepire le restrizion­i concordate fra paesi facenti parte dell’area Schengen/Dublino, di cui il nostro paese fa parte. Toccate sarebbero le armi da fuoco semiautoma­tiche dotate di un caricatore ad alta capacità, che potrebbero essere ottenute da privati solo qualora gli acquirenti possano comprovare un interesse legittimo nel possederle. «Non stiamo parlando dei fucili da caccia e nemmeno dei fucili colpo per colpo» fa notare Cattaneo, premettend­o di non essere contro lo sport del tiro e contro i cacciatori («I miei nonni erano maestri tiratori, mio papà e mio fratello cacciatori»).

Va bene, ma in Svizzera non esiste un problema generalizz­ato di reati commessi con armi da fuoco. Non si sta facendo tanto baccano per nulla? Non bisogna dimenticar­si però della strage del 2001 al Gran Consiglio di Zugo. Persero la vita 14 politici. Con ciò non voglio dire che questa modifica di legge riuscirà a evitare qualunque tragedia, ma per lo meno aumenterà la trasparenz­a sui possessori di armi particolar­mente a rischio.

Si tratta pur sempre di una legge che incide sulle nostre tradizioni... Non è vero: trattando con gli altri paesi siamo riusciti a trovare un buon compromess­o, che preserva le nostre tradizioni. Sempliceme­nte chi vorrà possedere un’arma a rischio dovrà – ogni 5 anni – dimostrare di avere un valido motivo.

Non lo dovrà però fare un centinaio di migliaia di militi, che continuerà a tenere il proprio ‘Fass’ a casa. Non è una contraddiz­ione?

Abbiamo fatto un esercizio d’equilibris­mo tra vari interessi e abbiamo salvaguard­ato questa particolar­ità elvetica evitando al contempo di dover uscire da Schengen. Perché è questo il rischio: un no il prossimo 19 maggio ci escludereb­be dall’accordo, così come da quello di Dublino. A meno che, entro novanta giorni, non si trovi una soluzione che vada bene a tutti gli altri paesi membri. Ne basta uno contrario, e siamo fuori.

Mi scusi, sembra uno spauracchi­o... Chi si vuole prendere la responsabi­lità di sapere se davvero si troverà una soluzione condivisa? Perché se così non fosse, perderemmo i vantaggi, anche in termini di sicurezza, ottenuti con l’adesione a Schengen. E questo per evitare, a chi vuole un fucile semiautoma­tico, di dover compilare una richiesta d’autorizzaz­ione.

Va bene, ma tra cinque anni è già possibile una rivalutazi­one della norma. Chi ci garantisce che, con una perfetta tattica del salame, non si vada verso una restrizion­e maggiore?

Non mi piace fare il processo alle intenzioni. Posso dire che il popolo svizzero potrà comunque pronunciar­si, esattament­e come avviene oggi.

A questo punto però anche dire che un ‘no’ porterà all’uscita da Schengen è un processo alle intenzioni...

È molto più probabile l’uscita da Schengen dopo un no il prossimo 19 maggio che un giro di vite sulle armi tra cinque anni.

Parliamo allora di efficacia: con questo cambiament­o si vuole combattere i criminali, che però certo non acquistano fucili e pistole dall’armaiolo. D’accordo, ma il mercato nero si combatte anche con lo scambio di informazio­ni tra Stati. Cosa oggi possibile proprio grazie al sistema informativ­o di Schengen.

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KEYSTONE/TI-PRESS ‘Processo alle intenzioni dire che la norma sarà inasprita ’ Rocco Cattaneo

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