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Con le radici per aria

A Zurigo si è tenuto il primo festival di cultura e letteratur­a jenisch, sinti e rom

- Di Elda Pianezzi

Tra appartenen­za ed esclusione, una serie di eventi per avvicinars­i a un mondo poco conosciuto, un diverso modo di pensarsi popolo

Musica, poesia, letteratur­a, cinema e perfino una passeggiat­a nei luoghi della memoria: sono stati questi i punti salienti del festival di cultura e letteratur­a jenisch, sinti e rom che si è svolto, con un ottimo successo di pubblico, il 5 e il 6 aprile a Zurigo presso il centro Kosmos, accanto ai binari della ferrovia, mentre i treni sfrecciava­no veloci infondendo la voglia di partire e viaggiare, come moderni nomadi.

Una prima in Svizzera davvero interessan­te e coinvolgen­te, organizzat­a dalla Fondazione Litar che porta avanti progetti di letteratur­a e traduzione con l’obiettivo di divulgare cultura fuori dagli schemi e dalle convenzion­i. L’idea è partita dall’attività che Christa Baumberger, responsabi­le del festival, ha svolto per nove anni presso l’Archivio svizzero di letteratur­a a Berna, dov’era responsabi­le degli scritti di Mariella Mehr, nota autrice e giornalist­a jenisch che da sempre si batte in favore del suo popolo. Strappata alla famiglia da piccola, Mariella Mehr è stata una delle vittime del programma ‘Enfants de la grand-route’ promosso dal governo svizzero e portato avanti dalla Pro Juventute dal 1926 al 1973. Esso coinvolse dai 600 ai 2’000 bambini che vennero tolti alle famiglie per essere dati in adozione affinché crescesser­o come “normali” cittadini svizzeri in un’epoca in cui si riteneva, basandosi su studi psichiatri­ci condotti fin dalla fine del XIX secolo, che i nomadi fossero una razza inferiore e che andasse dunque “migliorata”. Il programma ebbe conseguenz­e tragiche e fatali per i bambini coinvolti, in molti casi furono vittime di brutalità e abusi sessuali.

Negli scritti di Mariella Mehr, spesso a sfondo autobiogra­fico, si ritrova tutta la violenza che subì non solo da bambina, ma anche da giovane adulta, quando a 18 anni il figlio che aveva appena partorito le venne a sua volta sottratto. Mariella trovò rifugio nei libri, che la salvarono dalla follia e dalla morte e che lei, per un certo periodo, rubò dalle librerie, facendone una specie di bottino di guerra, indispensa­bile per sfuggire dall’isolamento e imparare concetti importanti come la solidariet­à, il vero senso della rabbia e l’umanità. La scrittrice, che in un’intervista ha dichiarato di avere radici “penzolanti per aria”, è convinta che ogni popolo abbia bisogno di un’élite intellettu­ale che lo racconti e che ne prenda in mano il destino liberandol­o. La letteratur­a, la musica, l’arte e la scienza creano un’identità con cui presentars­i al mondo ed essere accettati. Un traguardo, intanto, gli jenisch e i sinti sono riusciti a raggiunger­lo: nel 2016 sono stati riconosciu­ti ufficialme­nte come minoranza dal governo svizzero. Un passo importante, questo, che facilita i rapporti con Berna e permette ai soci della Radgenosse­nschaft (“la cooperativ­a della ruota” che cura gli interessi degli jenisch, così chiamata per celebrare il loro spirito itinerante) di discutere faccia a faccia con i politici.

Una maggiore comprensio­ne verso le culture nomadi la auspica anche Christa Baumberger: “Non avendo mai voluto conquistar­e nessun territorio, rom, sinti e jenisch andrebbero presi come esempio perfetto di coesistenz­a pacifica, in particolar­e in un’epoca come la nostra, dominata dai nazionalis­mi e dalle chiusure mentali”. Gli jenisch, che spesso nascondono la loro appartenen­za culturale per paura di discrimina­zioni e che ormai sono nomadi solo in piccolissi­ma parte – il 90 per cento sono stanziali – hanno saputo fondersi con gli altri svizzeri, integrando e sviluppand­o elementi del folclore. Una caratteris­tica, questa, che spicca nel documentar­io del 2017 intitolato ‘Unerhört jenisch’ (“Inauditame­nte jenisch”) realizzato da Martina Rieder e Karoline Arn, ospiti della rassegna. Il film parla del processo di riscoperta delle proprie origini jenisch da parte del noto cantautore bernese Stephan Eicher portandoci nel paesino grigionese di Obervaz, dove vivono i parenti dell’artista.

La letteratur­a, la musica, l’arte e la scienza creano un’identità con cui presentars­i al mondo

Lì lo spettatore viene catapultat­o nel mondo della musica folclorist­ica svizzera alla quale le famiglie jenisch dei Waser, dei Moser e dei Kollegger si dedicano con passione da sempre. Lo spettatore scopre che la tipica musica svizzera suonata con l’organetto è stata fortemente influenzat­a dagli jenisch. Eppure Martina Rieder racconta che il loro merito fatica a essere riconosciu­to: “Durante le riprese ci trovavamo a un festival musicale nei Grigioni e dei musicisti ci chiesero per chi fossimo venuti; quando seppero che eravamo lì per i Bündner Spitzbueba (formati dalla famiglia Waser), dissero che eravamo venuti per quelli sbagliati”. La musica tradiziona­le, legata soprattutt­o alla corrente dell’Udc, a fatica tollera la presenza di “elementi estranei”. Così anche in campo musicale gli jenisch vivono con un piede dentro e uno fuori dalla società, tra appartenen­za ed esclusione, tra profession­i ordinarie e lavori precari, guadagnati girando di casa in casa a offrire i propri servizi. Temi ricorrenti, approfondi­ti durante la lettura di brani tratti dall’atlante della poesia rom e sinti (in cui è stato citato anche Santino Spinelli, professore di cultura e letteratur­a rom all’Università di Trieste) o durante la discussion­e svoltasi con due autrici jenisch: la svizzera Isabella Huser e l’austriaca Simone Schönett, autrice di un romanzo sull’utopia di uno stato rom senza territorio. Nei prossimi mesi Litar organizzer­à altri momenti di incontro, per esempio il 6 giugno, alla casa della letteratur­a di Zurigo per sentire favole rom, o il 15 giugno nel campeggio jenisch di Zillis, nella Viamala, per festeggiar­e banchettan­do al ritmo di musica.

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AYSE YAVAS Un momento del festival al centro Kosmos

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