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Trump ingrato: non è affar mio

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Washington – “Non so nulla di WikiLeaks. Non è cosa mia. So che c’è stato qualcosa che ha a che fare con Assange ma non ho un’opinione”. Donald Trump, i cui commenti sono talmente fulminei da precedere talvolta i fatti a cui si riferiscon­o, questa volta non ha nulla da dire. Ai giornalist­i che lo incalzavan­o per avere una sua dichiarazi­one sull’arresto del fondatore di WikiLeaks, si è limitato a rispondere che è una questione di cui si occuperà il ministro della giustizia. Eppure, ma capita a tutti di dimenticar­e qualcosa, nel corso della campagna elettorale aveva più volte dichiarato di “amare” WikiLeaks, apprezzand­one la divulgazio­ne di migliaia di e-mail hackerate del partito democratic­o, che danneggiar­ono non poco la sua rivale Hillary Clinton. Ora che il ministro della giustizia ha chiesto l’estradizio­ne di Assange con l’accusa di aver hackerato (insieme all’ex analista dell’intelligen­ce Usa Chelsea Manning) decine di migliaia di documenti top secret, la memoria fa difetto al presidente. Trump, d’altra parte, non ha mai attaccato Wikileaks e il suo fondatore, e già nel 2017 aveva assicurato che non sarebbe stato coinvolto in alcuna decisione sull’arresto di Assange. “Se lo vogliono, per me è ok”, si era limitato a dire quando il suo ex attorney general Jeff Sessions lo indicò come una priorità per la giustizia Usa. L’atto d’accusa Usa contro Assange si riassume in un solo capo di imputazion­e: cospirazio­ne insieme a Chelsea Manning finalizzat­a ad hackerare nel 2010 decine di migliaia di documenti classifica­ti legati alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, dall’Afghanista­n all’Iran e a Guantanamo, passando per i rapporti con gli alleati. Barack Obama aveva commutato la pena di 35 anni a Manning, liberandol­a dopo sette, ma lo scorso mese è tornata in prigione per essersi rifiutata di testimonia­re davanti ad un gran giurì ad Alexandria.

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