Il miraggio ideologico di un mondo senza segreti
Ansa/e.f.
Ha fatto dispetti e favori. I governi lo hanno demonizzato e blandito. Si è atteggiato a guru ed è stato dipinto come un arrivista. Ha professato una fede inscalfibile nella libertà d’informazione e ne ha fatto uno strumento in mano a regimi che in patria la reprimono. E chi se ne è giovato lo ha poi braccato come il peggior criminale. Julian Assange ha finito cioè per pagare lo scotto di una partita rivelatasi più grande delle sue forze. Per anni, il cofondatore di WikiLeaks ha condotto una lotta senza esclusione di colpi in nome della libertà di informazione, ignorando le riserve di chi non apprezzava la sua mancanza di scrupoli. La piattaforma digitale realizzata tredici anni fa per penetrare negli archivi informatici di governi e istituzioni da un capo all’altro del mondo (preferibilmente “occidentale”) e pubblicare i file segreti che vi erano custoditi è presto divenuta motore e simbolo dell’assalto ai segreti di stato, senza distinzione di liceità o abuso. Basandosi su una mole impressionante di file immagazzinati da un server nascosto in Islanda, WikiLeaks ha portato alla luce scandali, abusi e crimini, dalle torture praticate dal personale statunitense in Iraq e Afghanistan, ai segreti diplomatici di mezzo mondo nel cosiddetto Cablegate al caso Vault 7, riguardante lo spionaggio informatico della Cia. Nel 2010 i primi problemi legali, con le accuse (e l’annesso mandato di cattura internazionale) per gli abusi sessuali ai danni di due donne svedesi che gli erano stati contestati dalla procura di Stoccolma. Altri, e ancora più pesanti, seguirono. Tanto che nel giugno 2012 Assange si rifugiò nell’ambasciata dell’Ecuador ricevendo l’asilo politico per volontà dell’allora presidente Rafael Correa. Nella sede diplomatica lo incontrò Paul Manafort, allora manager della campagna presidenziale di Donald Trump, nel 2013, 2015 e 2016. Prima che WikiLeaks pubblicasse le e-mail hackerate dai russi a esponenti democratici Usa, compreso John Podesta, capo della campagna di Hillary Clinton.