laRegione

Lucro, non dipendenza

Tre anni e 10 mesi, ed espulsione dalla Svizzera: spacciava cocaina

- di Beppe Donadio

Un 25enne del Locarnese condannato ieri a Lugano. Per la Corte, riforniva i clienti non per pagarsi le dosi, ma per soldi.

«Lucido, calcolator­e, non ha esitato a sfruttare le debolezze altrui a scopo di lucro». Per poi fotografar­si con mazzette di denaro, come da immagini ritrovate nel suo smartphone. Tre anni e dieci mesi al 25enne di origini macedoni nato in Italia e trasferito­si nel Locarnese nel 2016, da dove – malgrado ‘invitato’ a lasciare la Svizzera nell’aprile del 2017 – spacciava cocaina procuratas­i per sé e per gli altri (ipse dixit) «solo da spacciator­i svizzeri». Non per la Corte, che dalla voce dei ‘clienti’ ha ascoltato il contrario. Colpevole. Così è deciso intorno alle 17.30 alle Criminali di Locarno in Lugano, così si è espressa la Corte presieduta dal giudice Francesca Verda Chiocchett­i (giudici a latere Aurelio Facchi e Brenno Martignoni Polti), che ha accolto pressoché integralme­nte le richieste di pena della pp Marisa Alfier. Eccezion fatta per la revoca della condiziona­le di una condanna precedente (12 mesi per reati stradali). Nulla si applica in quel caso; l’espulsione dal territorio elvetico per 8 anni, invece sì. Il 25enne, dunque, «spacciava in modo lucido, allo scopo di lucrare, col modus operandi che non è quello di un dipendente da stupefacen­ti». Anche se ridotte, al momento di commisuraz­ione della pena, dai quasi 4’500 grammi dell’atto d’accusa ai poco meno di 1’500 della sentenza (‘detratta’ la credibilit­à di alcuni testimoni, che in tempi successivi hanno dichiarato di essersi riforniti anche da terzi) «pesa la quantità elevata» e il fatto che l’imputato «sapeva che la stessa era fonte di pericolo per le persone», ha detto Verda Chiocchett­i, confermand­o anche la condanna per riciclaggi­o (20mila franchi cambiati in euro e portati in Italia). «Dalla morte di mio padre la mia vita era cambiata. Ero sprofondat­o, andavo sempre più giù». Così il giovane aveva spiegato il suo agire a inizio processo, dichiarand­osi pentito. Anche per quei problemi familiari, la difesa (l’avvocato Laura Rigato, assistita da Francesca Sonzini) aveva chiesto che la pena non superasse i 24 mesi, sospesi nella misura di quanto già scontato dal suo assistito, in esecuzione anticipata della pena dall’agosto 2018. Una pena che avrebbe dovuto tener conto di una generale ammissione delle colpe e della buona condotta in carcere, pur in una vicenda giudiziari­a in cui, a parere di Rigato, «manca la pistola fumante». Affermazio­ne che ha il motivo cardine «nell’assenza di soldi e coca nell’abitazione», setacciata anche dai cani antidroga. «Gli si chiedeva sincerità, oggi ha dimostrato di non avere capito nulla del perché sia qui», si era invece espressa l’accusa, stizzita dai «vuoti di memoria ad ogni contestazi­one malgrado la giovane età». Certo è, per la Corte, che lo spaccio «non si è fermato se non per intervento della Polizia».

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TI-PRESS ‘Ero sprofondat­o, andavo sempre più giù’

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