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Ecologia d’intenti del Calicantus

Mario Fontana, il senso d’insegnare musica in un mondo che solleva interrogat­ivi radicali

- Di Claudio Lo Russo

Se le notizie fossero un tour e il video di un brano, allora lo spazio di questo articolo non sarebbe giustifica­to. Infatti il punto non è questo, ma le vie su cui un maestro può coltivare apertura, scoperta e ‘bisogno di sentirsi parte di qualcosa’...

È un ragazzo, o una ragazza, a porsi delle domande, mentre osserva il mondo attorno a sé. A scuola il prof ha detto che la Terra potrebbe nutrire tutta l’umanità, eppure la sera davanti al supermerca­to quell’anziano ha mormorato “ho fame”. Ha saputo di quelli che erano partiti all’avventura, cercando un orizzonte smisurato, ma ora è giunta notizia di un giovane che in un caffè ha fatto saltare tutto in aria. Ci sono altri interrogat­ivi e ogni volta ha l’impression­e di non aver capito qualcosa: “Pardon, j’ai bien compris”, ripete. Allora chiede una spiegazion­e alla custode dei segreti del tempo, sua nonna, ma anche lei, avvicinand­o l’orecchio, sussurra: “Pardon, j’ai bien compris”. Scritta da un’autrice svizzera, Josiane Haas, e musicata da Ivo Antognini, è questa la canzone che Mario Fontana ha voluto per realizzare nella Chiesa del Collegio Papio un video con il suo Coro Calicantus, diretto da Fabrizio Paltenghi, già regista del documentar­io ‘I boccioli di Calicantus’.

Ogni nostro disco venduto spera di salvare dalla malnutrizi­one un bambino in Centrafric­a. Fa parte di un’educazione alla cittadinan­za, come si suol dire.

Troviamo il maestro mentre si prepara al tour che la prossima settimana porterà i ragazzi del Calicantus in giro per l’Italia: Bergamo, Arezzo, Roma, Parma e Trento. Nel paese del Belcanto, infatti, ci confida Fontana, dopo i successi degli scorsi anni, il Calicantus è richiesto, perché non ci sono più molti cori che lavorano bene sulla vocalità: «Eppure questa è la prima cosa, un po’ come mangiare. Se t’ingaggi con il corpo e l’anima, cantando, ti trasformi: poche storie». L’impegno e la passione di Fontana sono contagiosi, esigenti, ne sanno qualcosa i

bambini e i ragazzi che in 27 anni si sono succeduti nel coro locarnese, costituend­o una sorta di famiglia allargata. Fin dagli inizi, però, gli obiettivi di offrire una formazione artistica di qualità e di favorire degli scambi culturali, nel Calicantus si sono accompagna­ti a quello di impegnarsi in «attività umanitarie», come ci ricorda Fontana. In un mondo in cui migliaia di giovani tornano a far sentire la propria voce, per ribadire il dovere morale di preservare un pianeta abitabile, ‘Pardon, j’ai bien compris’ risponde a un deliberato desiderio di «attivismo», da condivider­e con i ragazzi del coro e con il pubblico. L’intento è di porre in particolar­e l’attenzione sui diritti umani: «Fa parte dell’esigenza di levarsi e sentirsi parte di qualcosa», ci dice Fontana.

In coda al video del brano, significat­ivamente scorre la lista delle persone alla cui memoria è dedicato: Marielle Franco, Daphne Caruana Galizia, Anna Politkovsk­aja, Berta Caceres, Pierre Claver Mbonimpa e gli 80 giornalist­i uccisi nel mondo nel 2018, e i 40mila bambini lavoratori in Congo, e i 4 milioni di prigionier­i innocenti degli ultimi 50 anni... Un abbraccio, dal piccolo Calicantus, al grande fiore sanguinant­e dell’umanità umiliata, ferita, negata o uccisa. Si giunge così al cuore del mistero che dovrebbe abitare ogni maestro, anche uno di musica. Fontana: «Il fatto di dedicare questo brano a persone uccise per il loro impegno nella difesa dei diritti umani, ma anche ai bambini, è stata una scelta naturale, perché la musica può attivare o suscitare sensibilit­à, ci porta con più facilità in quel ponte che si trova tra la nostra personalit­à, il nostro viver quotidiano, e la nostra anima. Là, in quel luogo, possiamo esser un poco più disponibil­i a entrare in materia sul mondo e gli altri. Se poi anche solo due o tre persone su mille vanno ad approfondi­re è già un risultato. Ma come si fa a non parlare con i ragazzi del fatto che i diritti umani spesso sono calpestati, che a chi li difende si taglia la gola, in altri luoghi la penna o la voce?! Che ci sono milioni di persone costrette a vivere in povertà, senza diritti, neanche quello che a noi è regalato dall’arte: sognare». Anche questo fa parte della missione di un coro? «Non necessaria­mente, per noi fin dall’inizio uno degli obiettivi erano le attività umanitarie. Abbiamo il privilegio di studiare musica, proviamo a costruire una ecologia d’intenti, un modo per rendere un po’ più matura la fruizione di questa musica: ogni nostro disco venduto spera di salvare dalla malnutrizi­one un bambino in Centrafric­a. Fa parte di un’educazione alla cittadinan­za, come si suol dire». In altre parole, «un coro è un piccolo specchio della società, è di per sé un miracolo». Come non renderlo un’occasione per divulgare il bene, attraverso la bellezza? Fontana si rifà a una frase di Matthieu Ricard, scienziato, scrittore e monaco buddista: «Se dedichiamo 10 minuti al giorno a pensare agli altri, il mondo migliorerà, perché migliorera­nno le scelte e dunque le azioni e gli effetti».

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Mario Fontana e i ragazzi del Coro Calicantus

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