Ecologia d’intenti del Calicantus
Mario Fontana, il senso d’insegnare musica in un mondo che solleva interrogativi radicali
Se le notizie fossero un tour e il video di un brano, allora lo spazio di questo articolo non sarebbe giustificato. Infatti il punto non è questo, ma le vie su cui un maestro può coltivare apertura, scoperta e ‘bisogno di sentirsi parte di qualcosa’...
È un ragazzo, o una ragazza, a porsi delle domande, mentre osserva il mondo attorno a sé. A scuola il prof ha detto che la Terra potrebbe nutrire tutta l’umanità, eppure la sera davanti al supermercato quell’anziano ha mormorato “ho fame”. Ha saputo di quelli che erano partiti all’avventura, cercando un orizzonte smisurato, ma ora è giunta notizia di un giovane che in un caffè ha fatto saltare tutto in aria. Ci sono altri interrogativi e ogni volta ha l’impressione di non aver capito qualcosa: “Pardon, j’ai bien compris”, ripete. Allora chiede una spiegazione alla custode dei segreti del tempo, sua nonna, ma anche lei, avvicinando l’orecchio, sussurra: “Pardon, j’ai bien compris”. Scritta da un’autrice svizzera, Josiane Haas, e musicata da Ivo Antognini, è questa la canzone che Mario Fontana ha voluto per realizzare nella Chiesa del Collegio Papio un video con il suo Coro Calicantus, diretto da Fabrizio Paltenghi, già regista del documentario ‘I boccioli di Calicantus’.
Ogni nostro disco venduto spera di salvare dalla malnutrizione un bambino in Centrafrica. Fa parte di un’educazione alla cittadinanza, come si suol dire.
Troviamo il maestro mentre si prepara al tour che la prossima settimana porterà i ragazzi del Calicantus in giro per l’Italia: Bergamo, Arezzo, Roma, Parma e Trento. Nel paese del Belcanto, infatti, ci confida Fontana, dopo i successi degli scorsi anni, il Calicantus è richiesto, perché non ci sono più molti cori che lavorano bene sulla vocalità: «Eppure questa è la prima cosa, un po’ come mangiare. Se t’ingaggi con il corpo e l’anima, cantando, ti trasformi: poche storie». L’impegno e la passione di Fontana sono contagiosi, esigenti, ne sanno qualcosa i
bambini e i ragazzi che in 27 anni si sono succeduti nel coro locarnese, costituendo una sorta di famiglia allargata. Fin dagli inizi, però, gli obiettivi di offrire una formazione artistica di qualità e di favorire degli scambi culturali, nel Calicantus si sono accompagnati a quello di impegnarsi in «attività umanitarie», come ci ricorda Fontana. In un mondo in cui migliaia di giovani tornano a far sentire la propria voce, per ribadire il dovere morale di preservare un pianeta abitabile, ‘Pardon, j’ai bien compris’ risponde a un deliberato desiderio di «attivismo», da condividere con i ragazzi del coro e con il pubblico. L’intento è di porre in particolare l’attenzione sui diritti umani: «Fa parte dell’esigenza di levarsi e sentirsi parte di qualcosa», ci dice Fontana.
In coda al video del brano, significativamente scorre la lista delle persone alla cui memoria è dedicato: Marielle Franco, Daphne Caruana Galizia, Anna Politkovskaja, Berta Caceres, Pierre Claver Mbonimpa e gli 80 giornalisti uccisi nel mondo nel 2018, e i 40mila bambini lavoratori in Congo, e i 4 milioni di prigionieri innocenti degli ultimi 50 anni... Un abbraccio, dal piccolo Calicantus, al grande fiore sanguinante dell’umanità umiliata, ferita, negata o uccisa. Si giunge così al cuore del mistero che dovrebbe abitare ogni maestro, anche uno di musica. Fontana: «Il fatto di dedicare questo brano a persone uccise per il loro impegno nella difesa dei diritti umani, ma anche ai bambini, è stata una scelta naturale, perché la musica può attivare o suscitare sensibilità, ci porta con più facilità in quel ponte che si trova tra la nostra personalità, il nostro viver quotidiano, e la nostra anima. Là, in quel luogo, possiamo esser un poco più disponibili a entrare in materia sul mondo e gli altri. Se poi anche solo due o tre persone su mille vanno ad approfondire è già un risultato. Ma come si fa a non parlare con i ragazzi del fatto che i diritti umani spesso sono calpestati, che a chi li difende si taglia la gola, in altri luoghi la penna o la voce?! Che ci sono milioni di persone costrette a vivere in povertà, senza diritti, neanche quello che a noi è regalato dall’arte: sognare». Anche questo fa parte della missione di un coro? «Non necessariamente, per noi fin dall’inizio uno degli obiettivi erano le attività umanitarie. Abbiamo il privilegio di studiare musica, proviamo a costruire una ecologia d’intenti, un modo per rendere un po’ più matura la fruizione di questa musica: ogni nostro disco venduto spera di salvare dalla malnutrizione un bambino in Centrafrica. Fa parte di un’educazione alla cittadinanza, come si suol dire». In altre parole, «un coro è un piccolo specchio della società, è di per sé un miracolo». Come non renderlo un’occasione per divulgare il bene, attraverso la bellezza? Fontana si rifà a una frase di Matthieu Ricard, scienziato, scrittore e monaco buddista: «Se dedichiamo 10 minuti al giorno a pensare agli altri, il mondo migliorerà, perché miglioreranno le scelte e dunque le azioni e gli effetti».