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Il Sessantott­o di Ratzinger

- Di Erminio Ferrari

Si era all’inizio degli anni Novanta dell’altro secolo, e il teologo svizzero Franz Böckle promise di spendere tutta la propria voce per confutare i contenuti dell’enciclica ‘Veritatis splendor’ che papa Wojtyla stava allora redigendo. Ci pensò Dio a tappargli la bocca: “Il buon Dio – ha scritto Joseph Ratzinger, oggi papa a riposo – gli risparmiò la realizzazi­one del suo proposito; Böckle morì” prima della pubblicazi­one dell’enciclica, nel 1993. Sta facendo molto discutere il lungo testo redatto da Ratzinger sul tema della morale sessuale nella dottrina cattolica, nel quale – hanno sintetizza­to forse un po’ frettolosa­mente i media – l’emerito fa risalire al Sessantott­o l’origine di un decadiment­o dei costumi al quale ricondurre la diffusione della pedofilia nella Chiesa cattolica. Tutti (tanti, diciamo) a dargli addosso. Chi contestand­o l’assimilazi­one di un movimento di liberazion­e, anche, sessuale, alla morbosità e alle violenze inflitte ai minori. Chi interrogan­dosi su chi può avere ispirato a Ratzinger una serie di banalità non all’altezza della sua fama di teologo, forse quel ramificato movimento reazionari­o che lavora al logorament­o del papato vigente. Chi chiedendos­i se delle volte l’emerito non sia, con tutto il rispetto, un po’ andato. Chi, infine, chiedendo se le sue dimissioni da papa, allora interpreta­te come atto di coraggiosa “umanizzazi­one” della figura del pontefice, non abbiano finito per dare luogo a una sorta di chiesa bicefala: con un papa in carica, esposto a venti e tempeste; e uno nell’ombra, a suo tempo custode della più dogmatica ortodossia e oggi libero di modi e favella. E fiero di affermare la sacralità della vita, ma non di tutte le vite: quelle dei teologi dissidenti un po’ meno… Quanto ai fondamenti teologici e alla ricostruzi­one proposta da Ratzinger nel suo testo, non è lo scopo di queste righe indagarne plausibili­tà e opportunit­à. Se ne sono incaricate persone e intelligen­ze più titolate e dotate. Anche se non sfugge che la consegna del silenzio che si era dato lo stesso Ratzinger è stata violata da lui medesimo con un problemati­co crescendo di “presenza”. Ha forse ragione Giannino Piana, teologo, a considerar­e la situazione ai vertici della Chiesa cattolica “ormai compromess­a” dalla coabitazio­ne dei due papi? Chissà. E d’altra parte non è una questione liquidabil­e come affare interno alla chiesa, in tempi in cui crocefissi e gonfaloni recanti l’effigie della sacra famiglia vengono branditi come armi dalla peggiore politica. Resta che anche a una certa distanza dall’altar maggiore le parole su Böckle uscite dalla bocca di un papa, benché emerito, anzi proprio perché usate da una figura idolatrata (strumental­mente?) da certo cattolices­imo, quello dei “valori non negoziabil­i”, suonano come una grancassa in mano a un percussion­ista esaltato. Soprattutt­o se messe a paragone con quelle del suo successore che, pontefice fresco di elezione, a proposito dell’amore omosessual­e (e pur mantenendo ferma la lettera della dottrina) se ne uscì con il celebre “chi sono io per giudicare ?”. Perché, si sa, una cosa è farsi un giudizio, altra farsi giudice. Come, visto che sono i giorni, insegnò quell’uomo messo in croce, rivolgendo­si al ladrone condannato alla sua stessa morte. Così, almeno, abbiamo letto.

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