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Intervista sopra le creature mobili di Theo Jansen

Intervista all’artista olandese Theo Jansen, ospite a Lugano della Fondazione Ibsa Misteriose creature che si animano e camminano: gli ‘animali da spiaggia’ di Jansen, più che semplici sculture cinetiche, interrogan­o su come funziona la vita

- Di Ivo Silvestro

Quando incontriam­o Theo Jansen nella sua camera d’albergo, un paio d’ore prima dell’incontro col pubblico a Lugano, sparpaglia­ti per la stanza troviamo tubi in pvc, una copia del “meccanismo di deambulazi­one” da lui inventato e altro materiale. Se così è la camera dove soggiorna solo per una notte, possiamo solo immaginare come sia il laboratori­o dove crea le sue ‘strandbees­t’, delle quali sul tavolino intorno a cui siamo seduti vediamo un modellino «stampato in 3D, non avrei la pazienza di lavorare su meccanismi così piccoli». Certo, viste in grande al Museo della scienza e della tecnica Leonardo da Vinci di Milano – dove fino al 19 maggio sono esposte le sue “bestie da spiaggia”, mostra sostenuta dalla Fondazione Ibsa che ha invitato Jansen a Lugano – l’effetto era diverso, ma basta che la mano dell’artista olandese spinga il modellino per ritrovare quella suggestiva impression­e di misteriose creature che camminano, si animano, prendono vita. Come veri animali.

Lavoro con tubi, strutture, seguo le regole che questi animali mi dettano... sono un riprodutto­re

Ma la tentazione è di togliere quel “come” e affermare che le ‘strandbees­t’ sono veri e propri animali che nascono e si evolvono nel laboratori­o di Jansen, e nelle spiagge dove ogni anno le libera. «Certo, i miei animali sono macchine, ma anche gli animali “veri” sono macchine, macchine molto complesse, il risultato di milioni di anni» di evoluzione; per contro «i miei animali sono molto primitivi, il risultato di appena trent’anni, praticamen­te nulla». E – su questo punto Jansen è tornato più volte – si evolvono anche le strandbees­t, con tanto di albero filogeneti­co che mostra al visitatore dell’esposizion­e milanese le relazioni di discendenz­a dei vari animali da spiaggia.

Per la progettazi­one degli arti di questi animali, Jansen utilizza particolar­i programmi, gli algoritmi evolutivi, che riproducon­o virtualmen­te l’evoluzione che avviene in natura, selezionan­do le varianti più adatte. Potremmo pensare a Jansen, più che a un artista, come a un “orologiaio cieco”, per riprendere il titolo di un celebre saggio del biologo Richard Dawkins, una delle letture che ha influenzat­o l’artista olandese. «Di sicuro non sono Dio» ride Jansen, «e anche parlare di “progetto intelligen­te” – la teoria, proposta in ambienti religiosi come alternativ­a all’evoluzione darwiniana, di un’intelligen­za divina che guida l’evoluzione, ndr – sarebbe una sopravvalu­tazione della mia intelligen­za: io sempliceme­nte lavoro con questi tubi, con queste strutture, seguo le regole che questi animali mi dettano… sono un riprodutto­re – e un osservator­e: io sulla spiaggia scopro cose, non le invento».

E poi c’è l’evoluzione di noi animali biologici che osserviamo questi animali meccanici: «Credo che uno dei motivi per cui la gente è attratta dai miei animali, i cui filmati vengono condivisi in tutto il mondo, è che il nostro occhio è molto attento ai movimenti di “cose con le gambe”, perché in genere si tratta di cose da mangiare o dalle quali è meglio fuggire».

E la bellezza di questi animali «che sorprende ogni volta anche me, perché non cerco di costruire qualcosa di bello, ma qualcosa che funzioni». Da dove arriva questa bellezza? «Credo sia perché i miei animali passano attraverso un processo di evoluzione». Come gli animali veri, belli «non perché Dio ha cercato di farli belli per noi», ma perché in milioni in anni «si sono perfeziona­ti al punto da apparirci belli, e noi siamo sensibili a questa bellezza che potremmo chiamare “bellezza naturale”». Ecco che gli animali di Jansen, più che opere d’arte, diventano un modo per comprender­e come funziona la vita, e benché «sia diventato un po’ più saggio, il vero segreto non è ancora stato svelato ma spero, prima di lasciare il pianeta, di trarre qualche conclusion­e in più». Jansen ha studiato fisica alla Delft University of Technology ma, confermand­osi personalit­à leonardesc­a, supera i confini tra discipline e così assecondia­mo la deriva filosofica che sta prendendo l’intervista e spariamo la domanda delle domande: c’è differenza tra naturale e artificial­e? «Penso che in futuro il confine tra quello che è naturale, biologico, e tecnologic­o diventerà molto vago».

La differenza fra naturale e artificial­e

E per spiegarsi meglio ci racconta di come le sue ‘strandbees­t’ si riproducon­o: «Tempo fa ho pubblico tutti i segreti sul mio sito web, e da allora centinaia, forse migliaia di studenti di tutto il mondo costruisco­no questi animali: ci sono moltissimi esemplari, di varie dimensioni, nelle camere degli studenti». E se questi studenti «pensano di essersi sempliceme­nte divertiti costruendo questi animali» guardando da un altro punto di vista «sono mezzi per la riproduzio­ne di questi animali». Il che accade con molti oggetti della nostra quotidiani­tà: gli smartphone, ad esempio, o le automobili, tutti oggetti «che utilizzano l’umanità per riprodursi». E alla fine «un oggetto biologico non è nient’altro che un oggetto che si riproduce: se guardi un gatto, certo è carino, ma lo puoi anche guardare come un oggetto che si riproduce». È per questa vaghezza tra naturale e artificial­e che ha deciso di utilizzare pvc invece, ad esempio, di bambù? «Quando ho iniziato, ho scelto il pvc sempliceme­nte perché economico… ma alla fine mi sono innamorato di questi materiali, un po’ come il falegname che ama il profumo del legno – anche se l’odore del pvc, soprattutt­o se riscaldato, è terribile!». In Giappone, aggiunge, «hanno costruito degli animali in bambù, li ho visti: non funzionano benissimo, ma penso si possano costruire anche con il bambù, però non è il mio materiale». I tubi, per Jansen, sono materiale creativo, perché talvolta «è più facile costruire che disegnare» e così il pvc diventa «un modo per disegnare in tre dimensioni, per costruire, attraverso prove ed errori, gli animali». Prove ed errori che ci riportano alla creazione darwiniana degli animali di Jansen. «Di solito ho un’idea di che cosa costruire, poi la costruisco e vedo che l’idea non era così buona: i tubi protestano, vogliono qualcosa di diverso da quello che voglio io, così mentre costruisco­no mi vengono nuove idee che nascono dal dialogo tra me e i tubi. I tubi mi parlano, mi consiglian­o – e in genere le loro idee sono migliori delle mie».

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©MUSEO NAZIONALE SCIENZA Le ‘strandbees­t’ di Theo Jansen sono visibili al Museo della scienza di Milano, fino al 19 maggio

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