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Camminando con i curdi

- Di Claudio Lo Russo

Sabato pomeriggio, ti guardi attorno. Il lavoro accumulato, il frigorifer­o vuoto, la siepe da potare, (...)

(...) le lampadine da sostituire, i piatti nel lavandino… Responsabi­lità e miserie della quotidiani­tà ti chiamano, evocano scenari sinistri in cui franano i tuoi equilibri domestici. Sei pronto a lasciarti recintare come un criceto nel perimetro stretto dell’ordinario. Eppure, dalle profondità dello spazio siderale che ti abita, una voce ti raggiunge: No, al diavolo compiti spesa stoviglie luci artificial­i e photinia serrulata. Oggi scendi in strada con i curdi.

Un rigurgito di razionalis­mo ti induce a chiederti perché. Perché dovresti investire tre ore della tua breve esistenza in una manifestaz­ione di piazza che verosimilm­ente non cambierà nulla negli equilibri e nelle ingiustizi­e della geopolitic­a internazio­nale? Perché frapporre la tua insignific­ante presenza allo scorrere di una Storia che richiede sempre i suoi sconfitti, le sue vittime sacrifical­i? Perché è giusto così, ti trovi a rispondere. E non sempre ciò che è giusto è pure utile, o almeno non immediatam­ente “utile”; quasi mai produce qualcosa di immediatam­ente tangibile, come il pensiero utilitaris­ta del nostro tempo vorrebbe. Mentre osservi i volti dolenti, scolpiti nella carne, di quelle donne silenziose accanto a te – esibiscono come reliquie crudeli le immagini dei feriti dai bombardame­nti sul Rojava – una voce si alza, forte, affilata e inequivoca­bile. Proviene da una donna siriaca, quasi aggrappata al microfono, della quale non hai afferrato il nome e che presto svanirà fra le persone ritrovates­i in Piazza a Bellinzona. «L’indifferen­za e l’impotenza non possono avere il sopravvent­o, perché così verrebbe meno anche la nostra libertà». Ha detto proprio così?, ti chiedi sgranando mentalment­e le sue parole. Che importa? È questo che ti è arrivato. La piccola donna siriaca ti indica il senso di questo pomeriggio qualunque nel versante al sole del mondo, che ti vorrebbe ostaggio di un pensiero pratico e in fondo rassicuran­te: non conto nulla dunque non esisto. Eccolo, il nocciolo della questione: non ti trovi qui, in una piazza qualsiasi e (quasi) insignific­ante, solo per affermare il tuo No a quelle bombe che piovono sulle case dei curdi siriani e sui giornalist­i che provano a raccontare quanto sta accadendo, il tuo No a un’altra ingiustizi­a che resterà impunita, a un ricatto che umilia l’Europa. Dopotutto, come sempre in ogni piazza aperta, sei qui anche per te: per non lasciarti cintare come un animale braccato o spaurito nel tuo senso di impotenza; non cedere al demone dell’indifferen­za che ti sottrae la tua sensibilit­à e la tua intelligen­za; alimentare quella fiamma che fa di te un essere umano, la tua libertà, che ti richiede responsabi­lità, anzitutto verso te stesso.

Poi, con un occhio osservi divertito le vecchie bandiere rosse e con un orecchio stanco ascolti le parole dei politici ticinesi. Ti vien da chiederti perché questo momento dovrebbe essere “politicizz­ato”. Perché dovrebbe riguardare solo la cosiddetta “sinistra”? I liberali della consiglier­a federale che vorrebbe lasciare laggiù i combattent­i svizzeri dell’Isis non hanno niente da dire, neanche i popolari della fu solidariet­à cristiana, nemmeno la destra che difende valori e confini nazionali. Rinunci a trovare una risposta. Accanto a te noti un uomo alto e magro, ha gli occhi lucidi. Ramadan ti dice che in Rojava ha perso due fratelli, caduti nella guerra contro i fondamenta­listi. Ora, sui suoi amici e familiari cadono le bombe di Erdogan. Mentre ascolti il racconto della loro fuga verso est, che a Ramadan e ai curdi ticinesi giunge frammentar­io ogni giorno, ti sembra per un istante di percepire quei fili invisibili che legano il tuo microcosmo allo spazio sconfinato al di fuori di te.

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