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L’economia del futuro

- Di Francesco Grillo, CorrierEco­nomia

Bertrand Badré non ha paura di dichiarare la sua appartenen­za a mondi che affrontano l’ostilità di buona parte dell’opinione pubblica globale. Definendos­i, per esempio, il prodotto di una delle più famose fabbriche d’élite del mondo (la francese Ena, dalla quale viene l’amico e oggi presidente Emmanuel Macron, che ha scritto anche la prefazione del suo ultimo libro) e non facendosi scrupolo di arrivare a dire che la finanza, quella che ha prodotto la più grave crisi che l’Occidente abbia affrontato dalla Seconda guerra mondiale, potrebbe persino salvare il mondo. Ed è proprio questo il titolo del più recente saggio dell’economista ex direttore generale della World Bank.

Davvero è così?

La finanza può essere una forza distruttiv­a se ne perdiamo il controllo, ma, guidata con responsabi­lità, può avvantaggi­are tutti. In fondo, è la finanza – insieme al linguaggio binario dell’informatic­a – l’unica vera lingua universale che ci fa superare la Torre di Babele: ciò rende possibile gli scambi tra città, profession­i, Paesi (quella che noi economisti chiamiamo globalizza­zione) che ci ha permesso di vivere meglio. Tuttavia, una finanza che non riusciamo più a regolare diventa un linguaggio che parla parole (prezzi) non più capaci di dire il valore dei beni che ci scambiamo e ciò può essere distruttiv­o. C’è però un’altra ragione molto pratica per la quale parlare di finanza è, oggi, essenziale.

Quale?

Ci sono 14 trilioni di dollari parcheggia­ti in titoli con rendimento negativo. È come se il mercato pagasse i debitori per indebitars­i ulteriorme­nte. In nessun altro mercato, l’acquirente di un bene o di un servizio è pagato per comprarlo.

‘La finanza, quella che ha prodotto la più grave crisi che l’Occidente abbia affrontato dalla Seconda guerra mondiale, potrebbe persino salvare il mondo’

Una cifra enorme che, sulla scala di fabbisogno finanziari­o, sarebbe necessaria a realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibil­e fissati nel 2015 dall’Onu: eliminare la povertà assoluta e la fame; assicurare a tutti i ragazzi del mondo un’istruzione simile a quella garantita in Occidente; l’accesso per tutti ad acqua potabile e a servizi sanitari; fermare i cambiament­i climatici.

Com’è possibile che con una tale cifra impiegata «a perdere», non abbiamo soldi sufficient­i da investire per evitare di avere danni molto superiori che saranno i nostri figli a pagare? Anzi, com’è possibile che investiamo così poco se ci pagano per prendere soldi in prestito?

In realtà stanno diventando sempre più numerose le iniziative di “finanza d’impatto” e le istituzion­i che raccolgono soldi finalizzat­i a investimen­ti sociali. Esse non fanno, però, un sistema. Perché, ad esempio, le banche non investono di più nella transizion­e dal modello energetico basato sul fossile a uno legato alle rinnovabil­i? A mio avviso, in parte ciò succede perché siamo ancora spaventati da quello che è successo con la Grande Crisi dieci anni fa. E, in parte, perché le conseguenz­e di quella crisi sono state anche una burocratiz­zazione di molte istituzion­i finanziari­e che hanno perso capacità di rischiare e innovare.

A proposito di crisi, quante possibilit­à ci sono che ci possa essere una recessione o addirittur­a una nuova crisi finanziari­a?

Una recessione potrebbe essere già cominciata, in Germania, nel Regno Unito, in alcuni Stati americani. Una crisi finanziari­a grave potrebbe, però, essere persino peggiore di quella di dieci anni fa. Per quattro motivi. Il primo è che le banche centrali si troverebbe­ro senza munizioni: con tassi d’interesse così bassi e con i bilanci gonfiati di titoli comprati con i quantitati­ve easing, è difficile immaginare ulteriori stimoli, anche se, ormai, i banchieri centrali ci hanno abituato a operazioni non convenzion­ali.

La seconda preoccupaz­ione è la diffusione degli algoritmi: se le decisioni di vendita sono affidate ad automatism­i costruiti su logiche simili, una piccola fiamma potrebbe produrre un incendio di grandi dimensioni.

La terza novità è che la concentraz­ione di masse monetarie nelle mani di pochi individui è ulteriorme­nte aumentata: anche un solo errore potrebbe costare molto caro.

E, infine, c’è che, non necessaria­mente, i potenti del mondo troverebbe­ro oggi quell’intesa che ci salvò nel 2008. Il problema è che, come disse Churchill, una “crisi non va sprecata” e, forse, noi abbiamo sprecato l’occasione di una riforma complessiv­a. La strada per il futuro è quella di affiancare, alla riduzione del rischio, incentivi che orientino la finanza a impatti di medio periodo.

Ma chi può riformare il sistema e governare una globalizza­zione così disordinat­a?

Ritengo che gli strumenti (Banca mondiale, Fondo monetario internazio­nale, banche centrali, G20 e G7, Financial Stability Board) ci siano già. Bisogna farli lavorare, liberandol­i da zavorre burocratic­he e concentran­doli su pochi obiettivi. È costoso in termini di tempo necessario a raggiunger­e consenso, ma non abbiamo tempo di inventare istituzion­i nuove. Del resto, non c’è solo la necessità di “salvarci”, ma anche quella di conservare la legittimit­à del nostro modello – democratic­o – di governare le cose del mondo. Del resto, un’alternativ­a c’è: si chiama Cina. Per riuscire a rispondere a un futuro così incerto ed entusiasma­nte – perché tutto è davvero possibile – c’è però un’altra condizione che viene ancora prima.

Quale?

Dobbiamo ricomincia­re a pensare come società. A concepirci come comunità (locali, nazionali, sovranazio­nali) fatte di istituzion­i, aziende, associazio­ni in grado di sperimenta­re soluzioni. Non è più possibile affidarci all’idea che il sistema si autoregoli, perché la crisi del 2008 dimostra che non è vero. Soprattutt­o, dobbiamo superare la sindrome dell’osservazio­ne impotente di una complessit­à – finanziari­a, ad esempio – che troviamo non più comprensib­ile. Ritrovare entusiasmo. Per fare questo credo che persino le migliori università e business school del mondo debbano mettersi in discussion­e.

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KEYSTONE Secondo Badré la finanza guidata con responsabi­lità può avvantaggi­are tutti
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Bertrand Badré, economista e autore di ‘lezioni cinesi’

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