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Tentò di mutilare la figlia: a processo

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Lesioni semplici qualificat­e, in alternativ­a tentate lesioni gravi, in ulteriore alternativ­a tentata mutilazion­e di organi genitali femminili; nonché ripetuta violazione del dovere d’assistenza o educazione e ripetute vie di fatto. Fuor di giuridiche­se, l’imputata straniera residente a Bellinzona che il 29 ottobre dovrà comparire davanti alle assise correziona­li del Tribunale penale cantonale, deve difendersi dall’accusa di aver tentato – senza riuscirci – di mutilare gli organi genitali femminili della figlia nel corso del 2017. Per la giustizia ticinese – scrive il ‘Caffè’ – è una prima. L’articolo che vieta le mutilazion­i genitali femminili – e che punisce anche chi la organizza ma non la pratica direttamen­te, chi vi assiste e chi ne viene a conoscenza ma non fa nulla per impedirlo o per segnalare il caso all’autorità penale – è stato inserito nel Codice penale svizzero il 1° luglio 2012. La pena massima prevista è di 10 anni di reclusione, il termine di prescrizio­ne è di 15 anni, per i minori di 16 anni la prescrizio­ne dura finché la ragazza ne compie 25 e vi è la possibilit­à di sanzionare i responsabi­li anche quando il reato commesso da un residente in Svizzera avviene in una nazione dove la mutilazion­e genitale è legale. Finora alle nostre latitudini non era mai emerso alcun caso, mentre Oltralpe si registrano più sentenze. L’infibulazi­one è una tradizione perpetuata soprattutt­o in Africa, con modalità diverse da paese a paese. C’è chi si limita all’incisione della punta del clitoride per permettere la fuoriuscit­a di sette gocce simboliche di sangue, c’è chi asporta il clitoride e le piccole labbra, e c’è chi arriva a sfigurare irrimediab­ilmente i genitali femminili, annullando quasi completame­nte le future pulsioni sessuali della giovane. Di recente sono stati creati diversi centri di consulenza specifici: in Ticino il punto di riferiment­o è l’antenna Mayday. «Non è una pratica che viene denunciata a cuor leggero», spiega al domenicale la responsabi­le Monica Marcionett­i: «Parecchie donne pensano che sia normale, poiché nelle loro famiglie si è sempre fatto così. Fino agli anni 80 era considerat­o un semplice atto rituale che segnava il passaggio all’età adulta». In realtà «queste sono violenze sessuali che provocano gravi danni a livello fisico e psicologic­o. Noi puntiamo sulla sensibiliz­zazione delle donne migranti: devono sapere che non è normale farsi mutilare gli organi genitali». In Svizzera si stima che le vittime siano circa 15mila, cifra cresciuta negli ultimi anni di pari passo con l’immigrazio­ne da Eritrea, Etiopia, Somalia, Sudan ed Egitto.

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