laRegione

Difendere le ragioni della speranza

- Di Maurizio Agustoni

Il Novecento si è equamente diviso tra guerre mondiali (19141945) e guerra fredda (1947-1991); è stato il cosiddetto “secolo breve”, secondo la nota definizion­e dello storico britannico Eric Hobsbawm. In appena 80 anni, l’umanità, attraversa­ndo tragedie immani, ha rivoluzion­ato il mondo, dal profilo politico, economico, tecnologic­o, sociale e culturale. Il ventunesim­o secolo, almeno nell’Occidente, potrebbe essere un “secolo gioioso”, a maggior ragione nella ricca Svizzera.

Tutti hanno un tetto sopra la testa, tre pasti al giorno, istruzione e cure mediche; la tecnologia rende più comoda la nostra vita, godiamo delle più ampie libertà e non siamo minacciati da guerre imminenti. Sulla carta, viviamo in una condizione quasi utopica. Il prodotto interno lordo della Svizzera è di circa 690 miliardi di franchi; anche se la distribuzi­one della ricchezza è parecchio diseguale, ci sono risorse sufficient­i per garantire a ciascuno un’esistenza dignitosa. Eppure, più di un segnale ci fa temere che questo secolo rischia di essere un “secolo triste”, penso per esempio al bassissimo tasso di natalità (largamente insufficie­nte a garantire il ricambio generazion­ale) e al consumo sproposita­to di farmaci. La stagnazion­e dei salari e il continuo aumento di certe spese non aiutano l’ottimismo, ma non penso che le prospettiv­e economiche (per quanto scarse) possano da sole spiegare questa “tristezza” di fondo. Credo che la chiave di lettura debba essere piuttosto culturale, nel senso più ampio del termine. L’impression­e è che, seppellite le lotte ideologich­e del secolo scorso, sia venuta a mancare una certe tensione ideale che possa spingere gli individui e la collettivi­tà verso traguardi coraggiosi e grandi. In questo senso la “questione” climatica, comunque la si pensi, ha quantomeno il merito di suscitare un vasto dibattito e di mobilitare milioni di persone in tutto l’Occidente (soprattutt­o giovani). L’attenzione per la nostra “casa comune”, per quanto nobile, è però monca se non si attribuisc­e altrettant­a attenzione alla persona, con i suoi bisogni e le sue aspirazion­i. Lo stesso vale per il cosiddetto “sovranismo”; la sovranità è sicurament­e un valore essenziale, senza il quale non ci sarebbe neppure la democrazia, ma non può essere una rivendicaz­ione fine a sé stessa, tantomeno sé è solo una rivendicaz­ione contro il “nemico” di turno. C’è bisogno, anche in Svizzera, di rimettere la persona – nella sua complessit­à – al centro della riflession­e e dell’azione politica. Questo compito non può essere assunto da partiti quasi monotemati­ci, è una responsabi­lità che ricade innanzitut­to sui partiti “storici”, abituati a proporre una visione globale della società. Il Ppd, in una società ipersecola­rizzata, ha il difficile ruolo di difendere le ragioni della speranza. La speranza, innanzitut­to, che nulla è “segnato”, che l’umanità è in grado si sormontare qualsiasi ostacolo e che il fatalismo è solo un intralcio al progresso. Senza speranza non c’è futuro, né per noi, né per il nostro Paese. Il destino della Svizzera è nelle nostre mani; auspico che il prossimo 20 ottobre sapremo scegliere una classe politica innamorata del futuro, consapevol­e delle difficoltà del mondo d’oggi, ma piena di fiducia in tutti noi. Buon voto!

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland