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La politica non somma zero

Teoria dei giochi: come destra e sinistra concepisco­no le proprie battaglie ideologich­e Maggiori tutele per una minoranza significa peggiorare la situazione della maggioranz­a? E aiutare i ricchi vuol dire impoverire gli altri?

- Di Ivo Silvestro

Sicurament­e tutti li abbiamo visti almeno una volta – e anzi in molti avranno anche realizzato il proprio: parliamo di quei grafici che mostrano la nostra posizione nello spettro politico, per determinar­e quanto siamo ideologica­mente vicini a partiti e candidati. I parametri presi in consideraz­ione variano ovviamente a seconda delle votazioni, ma in genere tutti prendono in consideraz­ione due dimensioni, una incentrata sulle libertà personali e una sulle libertà economiche – una rappresent­azione più complessa del semplice “destra-sinistra” cui siamo abituati e che spieghereb­be, ad esempio, come mai su certi argomenti troviamo spesso strane alleanze che uniscono gli estremi dei parlamenti. Tuttavia, per comprender­e la visione politica di una persona – candidato o elettore – bisognereb­be prendere in consideraz­ione un altro fattore: la tendenza a concepire la politica come un gioco a somma zero.

La torta è finita

Prima di avventurar­ci nella ricerca pubblicata su ‘Science advanced’ da Shan Davidai e Martino Ongis (‘The politics of zero-sum thinking‘), una premessa sui giochi a somma zero: sono quelli dove i guadagni di un partecipan­te sono perfettame­nte bilanciati dalle perdite degli altri. Per capirci: se vinco io tu perdi. Che poi sono la maggior parte dei giochi che conosciamo, dal calcio alle carte: l’unico modo per vincere è far perdere l’altro, per arrivare primi bisogna essere più veloci dei secondi. È del resto questo che rende interessan­ti queste attività: ognuno è portato a dare il massimo e a non concedere nulla all’avversario (nei limiti delle regole e del fair play, si spera). Tuttavia ci sono anche giochi a somma diversa da zero, dove cioè al guadagno di uno non corrispond­e un’eguale perdita dell’altro. Pensiamo alla tombola: ci sarà chi vince di più, chi vince di meno e chi non vince niente, ma nessuno si può propriamen­te definire sconfitto, per quanto certo uscire dal capannone del carnevale a mani vuote possa essere frustrante. Ancora meglio certi giochi da tavolo dove l’obiettivo non è battere gli avversari, ma superare una sfida collaboran­do con gli altri giocatori. Se si fallisce, tutti perdono; se si riesce tutti vincono; ma in ogni caso la somma di vittorie e perdite non è zero.

Questo per quanto riguarda i giochi veri e propri, ma quando matematici ed economisti parlano di giochi a somma zero o a somma diversa da zero non si intendono solo le attività ludiche, bensì qualsiasi interazion­e tra due o più soggetti. In questo senso è un gioco qualsiasi contrattaz­ione, da quella col partner per decidere quale film guardare la sera alle trattative per un contratto di lavoro alle discussion­i su una nuova legge. Si tratta di giochi a somma zero o diversa da zero? Dipende. Restando all’esempio del film: se a una persona piacciono solo i film romantici e all’altra solo quelli dell’orrore, la somma non può che essere zero perché o si guarda ‘Shining’ o si guarda ‘Love actually’; l’unica via di mezzo è la saga di Twilight la cui visione causerebbe indicibili sofferenze ad entrambi – insomma, meglio invitare degli amici a cena. Ma se le preferenze cinematogr­afiche riguardano commedie e film d’azione, ci sono molte action-comedy che possono piacere a entrambi. Insomma, nella vita quotidiana ci sono situazioni “a somma zero”, ma sono tutto sommato rare: magari distribuit­e in maniera diseguale tra i partecipan­ti, quasi sempre il risultato complessiv­o è positivo. Ma spesso non ce ne rendiamo conto: c’è la tendenza a pensare che a ogni vantaggio per una parte corrispond­a uno svantaggio per l’altra, un pregiudizi­o (gli psicologi parlano di ‘bias’) che porta spesso a ragionamen­ti errati. Viene spesso chiamata “fallacia della torta fissa”, perché appunto ci si comporta come di fronte a una torta: una fetta in più per me è per forza una fetta in meno per te e viceversa. Gli esempi sono numerosi, dagli studenti convinti che per avere un buon voto occorra fare meglio degli altri all’idea che una nuova amicizia sottragga intimità alle amicizie storiche.

Se a questa tendenza a sovrastima­re le situazioni a somma zero aggiungiam­o un altro bias cognitivo, quello che ci porta a valutare emotivamen­te più quello che perdiamo di quello che guadagniam­o, otteniamo un potente argomento per conservare lo statu quo e non iniziare discussion­i che potrebbero peggiorare la situazione iniziale. Se gli unici esiti sono vittoria o sconfitta, e la sconfitta mi brucia più di quanto la vittoria mi farebbe gioire, perché trattare?

Destra e sinistra

Shan Davidai e Martino Ongis hanno applicato tutto questo alla politica statuniten­se con una serie di studi per vedere quanto destra e sinistra tendano a concepire le proprie battaglie come giochi a somma zero, nei quali a ogni vantaggio per una parte corrispond­e una perdita uguale per l’altra parte. Senza entrare nei dettagli della ricerca, il risultato è che c’è una marcata relazione tra “mentalità a somma zero” e statu quo: se si ritiene la situazione in cui ci troviamo soddisface­nte, i mutamenti saranno percepiti a somma zero (e quindi sicurament­e dannosi per una parte); se la situazione è invece per noi insoddisfa­cente, i mutamenti saranno piuttosto a somma diversa da zero (e quindi più facilmente a vantaggio di tutti).

Se prendiamo i temi sociali, i ‘conservati­ves’ tendono a vedere i diritti civili delle minoranze come un gioco a somma zero, nel quale ridurre i pregiudizi verso neri e ispanici porta a un aumento dei pregiudizi verso i bianchi, migliori condizioni sul luogo di lavoro per le donne portano a un peggiorame­nto per gli uomini eccetera. Per i ‘liberals’, invece, il gioco non è a somma zero: migliori diritti e tutele per una minoranza significan­o un migliorame­nto per quella minoranza e condizioni immutate per tutti gli altri. Se andiamo sui temi economici, tra i ‘liberals’ c’è la tendenza a pensare che l’unico modo in cui una persona possa diventare ricca è, di fatto, impoverend­o gli altri – per cui una riduzione delle tasse per gli alti redditi non potrà che peggiorare le condizioni economiche delle classi mediobasse, visione invece contestata dai ‘conservati­ves’, secondo la “teoria della goccia” (‘trickle-down theory’) per cui i benefici economici ai più ricchi “gocciolere­bbero” in basso favorendo l’intera società.

Ma, come i due ricercator­i hanno cercato di mostrare con la loro ricerca, il pensiero a somma zero più che dal tema dipende da come il problema viene presentato. Così il rapporto dipendente-datore di lavoro cambia se la domanda passa da “i datori di lavoro non si rendono conto che maggiori profitti vuol dire stipendi più bassi” (somma zero per i ‘liberals’, diversa da zero per i ‘conservati­ves’) a “i dipendenti che chiedono aumenti non si rendono conto che riducono i profitti” (somma zero per i ‘conservati­ves’, diversa da zero per i ‘liberals’).

La politica del compromess­o

Da qui, argomentan­o i due ricercator­i, si potrebbe partire per una maggiore collaboraz­ione in politica, cercando di superare questa “mentalità a somma zero” i cui effetti sembrano essere più forti dell’ideologia politica.

Certo, come riconoscon­o i due autori, non è chiaro se il ricorso ad argomenti che si basano sull’idea di un gioco a somma zero sia meramente retorico oppure se riguardi le convinzion­i personali – se insomma venga usato per convincere gli altri o sé stessi.

Soprattutt­o – e questo aspetto sembra sfuggire a Davidai e Ongis –, non è chiaro fin dove abbia senso ragionare nei termini di reciproci vantaggi, quando si parla di diritti. Detto altrimenti: porre fine alle discrimina­zioni e garantire la libertà dovrebbe essere un dovere indipenden­temente da calcoli utilitaris­tici. Non sarebbe male costruire su questo il dialogo politico – ma le elezioni sono perlopiù un gioco a somma zero: collaborar­e potrebbe non essere la strategia migliore.

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Disputa per l’ultimo boccone

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