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Voto che viene, voto che va

Andrea Pilotti, dell’università di Losanna, legge i flussi elettorali alle ultime Cantonali

- a cura di Lorenzo Erroi

Alle ultime elezioni per il Gran Consiglio, i ticinesi si sono allontanat­i dai partiti di governo, contribuen­do alla polarizzaz­ione del panorama politico. È notevole il salasso per il Plr a favore dell’Udc, mentre il Ps paga pegno ai Verdi. Si conferma la correlazio­ne fra livello di istruzione e preferenze elettorali, mentre l’incertezza economica premia chi promette protezione.

Il Plr cede consensi all’Udc, che insieme ai Verdi riesce a cooptare i voti di neoelettor­i ed ex astensioni­sti. Il tutto in un panorama sempre più fluido e polarizzat­o, nel quale la fedeltà ai partiti storici si sfilaccia costanteme­nte e le forze di governo scontano una fase prolungata di stanchezza. Ce lo racconta l’analisi dei flussi elettorali alle elezioni per il Gran Consiglio 2019, appena pubblicata dall’Osservator­io della vita politica regionale dell’Università di Losanna. Uno spunto per parlare con Andrea Pilotti, politologo, docente e responsabi­le di ricerca dell’Osservator­io.

Dottor Pilotti, qual è il segnale più forte che ci restituisc­e la vostra analisi? Anzitutto il grande flusso di elettori che hanno lasciato il Plr per l’Udc, una migrazione triplicata rispetto al 2015, che ha portato dall’8% al 26% la quota di ex Plr nell’elettorato Udc.

Come si spiega?

Si può ipotizzare che un elettorato più vicino al liberismo sia stato attratto dalle politiche dell’Udc in materia economica. Un ruolo minore possono averlo giocato anche le posizioni in tema di politica migratoria.

Si potrebbe pensare che il Plr perda anche il voto dei radicali a favore del Ps. Invece fra i due partiti non si registra uno spostament­o significat­ivo.

Ma già nel 2011, solo l’1,8% dell’elettorato socialista era composto da ex elettori ed elettrici liberali radicali. La percentual­e è dell’1,4% nel 2015 e del 2,9% nel 2019. Quindi un leggero aumento c’è, ma le proporzion­i rimangono molto contenute. Per contro l’elettorato dei Verdi nel 2019 è composto nella misura del 10% da ex Plr, la stessa percentual­e del 2015.

È interessan­te anche lo spostament­o di voti dalla Lega all’Udc.

Si tratta di una traslazion­e costante, che rimane importante, ma la cui intensità rallenta un po’: stavolta gli elettori ex leghisti costituisc­ono un quarto della forza Udc, contro un terzo alle elezioni precedenti.

A sinistra, invece, perde il Ps e guadagnano i Verdi.

Sì, ora gli ex socialisti costituisc­ono il 30% dell’elettorato verde, contro il 16% del 2015. È uno degli spostament­i che ha trainato la crescita del partito, agevolato anche dalla ‘congiuntur­a’ di maggiore sensibilit­à per le tematiche ambientali.

In generale, quindi, si può dire che tutti i partiti al governo scontino una certa stanchezza dell’elettorato a favore delle forze ‘d’opposizion­e’?

Questa interpreta­zione può spiegare una crescente polarizzaz­ione. Così come testimonia un elettorato sempre più d’opinione, meno legato ai partiti da fedeltà storiche e famigliari.

In questo senso, è importante notare come Verdi e Udc siano riusciti anche a mobilitare i neoelettor­i e gli ex astensioni­sti. La sensibilit­à ambientale spiega il vantaggio verde, ma come mai ci riesce anche l’Udc? In generale, alle difficoltà talvolta dei partiti storici nel mobilitare l’elettorato su temi forti si uniscono i messaggi profilati dell’Udc come dei Verdi, capaci di attrarre la parte di popolazion­e normalment­e meno coinvolta: quella appunto di chi si asteneva, oltre a chi ha appena ottenuto il diritto di voto.

L’astensione riguarda ancora il 40% degli aventi diritto al voto. A volte si legge la politica come un gioco a somma zero, dove i voti si possono solo rubare agli avversari. Invece c’è tutto un mondo,

‘là fuori’, e alcuni lo stanno imparando. C’entra anche la capacità di usare meglio canali di propaganda relativame­nte giovani, come i social?

Questo può costituire un fattore di vantaggio, anche se quando chiediamo agli elettori come si informano, menzionano anzitutto canali tradiziona­li: la television­e, la radio, i giornali. Però è vero che loro stessi potrebbero non accorgersi di quanto siano esposti a messaggi politici attraverso l’utilizzo dei social, e sottostima­rne l’influsso.

D’altronde, anche prima dei social, nell’‘era Blocher’ l’Udc si è distinta per una comunicazi­one particolar­mente originale e inconsueta, lontana dai veicoli classici.

Guardando al livello d’istruzione, si conferma la preferenza leghista di chi ha un apprendist­ato o una maturità profession­ale, mentre i Verdi hanno più appoggio dai laureati. Segno che la polarizzaz­ione fra destra e sinistra è anche una questione di estrazione culturale (e di conseguenz­a, almeno in parte, socioecono­mica)?

Questa è una lettura confermata da numerose elezioni recenti. Va però detto che non si tratta sempre di una tendenza univoca. Il Ps, ad esempio, non mostra più una sovrarappr­esentazion­e dei laureati rispetto alle elezioni precedenti. Segno che in qualche misura ha saputo calamitare anche il consenso di altre fasce.

La classe operaia torna all’ovile, insomma, almeno quando non si butta a destra? Oppure si tratta soprattutt­o di una fascia anziana, che rispolvera le vecchie appartenen­ze ora che percepisce minacce per la sua situazione economica e pensionist­ica? In effetti si vede che il Ps – insieme all’Udc – beneficia più di altri anche del voto di chi ha dai 66 anni in su. Quindi è possibile che le due tendenze – quella a recuperare chi ha un apprendist­ato e a ottenere un sostegno relativame­nte anziano – si congiungan­o in questo modo, anche se servirebbe­ro ulteriori analisi per confermarl­o.

In ogni caso, è chiaro che l’invecchiam­ento della popolazion­e rende sempre più rilevante la capacità di parlare agli elettori più anziani.

Che però vanno anche verso l’Udc.

In questo caso si tratta di un bisogno di sicurezza sociale più che economica?

Nel caso dell’elettorato più anziano che vota Udc, a prevalere è spesso un bisogno di difesa dell’identità nazionale, percepita come garante di quel benessere della Svizzera del quale essi stessi hanno beneficiat­o.

In tutto questo diagramma di flussi resta un isolotto solitario, ma che non affonda: il Ppd.

Il Ppd ha saputo tenere la sua base, pur senza avvantaggi­arsi particolar­mente dei voti altrui. Con un’eccezione: a differenza del Plr, che vede invariata la composizio­ne di genere del suo elettorato, le donne hanno relativame­nte aiutato proprio il Ppd, oltre al Ps.

Come si spiegano le dinamiche del voto femminile?

Storicamen­te i socialisti ticinesi – e non solo – hanno beneficiat­o spesso in misura più importante del voto femminile, ‘capitalizz­ando’ in qualche modo il loro impegno di lungo corso per le questioni correlate: suffragio femminile, assicurazi­one maternità, parità salariale, eccetera. Per il Ppd al momento è prematuro avanzare delle spiegazion­i, non avendo ancora realizzato tutte le analisi.

Il fatto che comunque la composizio­ne del Ppd resti stabile suggerisce che si tratti ancora di un partito più d’identità che d’opinione: un anacronism­o? Naturalmen­te il passaggio a un elettorato sempre più fluido e d’opinione ne minaccia la base. Che però, come detto, anche questa volta si è rivelata piuttosto stabile. D’altra parte, il partito stesso si sta mobilitand­o verso campagne tematiche per raggiunger­e anche altri cittadini: lo si vede da alcune scelte programmat­iche, come quelle riguardant­i le politiche fiscali e le casse malati.

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INFOGRAFIC­A LAREGIONE E pur si muove

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