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Netflix potrà ‘diventare grande’

- di Maria Elena Zanini

And the winner is... Le sliding doors di Reed Hastings sono lì, dietro queste quattro parole. Quando saranno pronunciat­e al Dolby Theatre alla serata degli Oscar si capirà se lui (e con lui la sua Netflix, fondata nel 1997) sarà in effetti tra i vincitori o tra i vinti, in un mercato dell’entertainm­ent sempre più manicheo: o dentro o fuori lo show.

Netflix si presenterà sul red carpet a Los Angeles con oltre 20 nomination (dopo le statuette ottenute lo scorso anno con ‘Roma’ di Alfonso Cuarón). In lizza come miglior film ci sono ‘The Irishman’, diretto da Martin Scorsese che concorre in altre otto categorie, e ‘Storia di un matrimonio’, che punta a ottenere sei statuette. In nomination anche ‘I due papi’, ‘American Factory’ e ‘The Edge of Democracy’. Mentre ‘Dov’è il mio corpo?’ e ‘Klaus’ concorrono per la migliore pellicola d’animazione. Certo, come hanno dimostrato i Golden Globes, «nomination» non significa automatica­mente «statuetta». Ma le aspettativ­e sono alte da parte di tutti, dagli attori ad Hastings passando per i mercati già soddisfatt­i per gli ultimi successi della piattaform­a streaming che conta 160 milioni di utenti: Goldman Sachs, per esempio, ha alzato il prezzo di riferiment­o da 400 a 450 dollari: «Netflix supererà la sua guidance e le attese per l’anno in corso, spingendo il titolo», hanno spiegato gli analisti.

Insomma, ci sono tutte le premesse perché Netflix possa «diventare grande», superando e monetizzan­do questa sua prima adolescenz­a. Anche se più che di speranze sarebbe opportuno parlare di necessità. Reed Hastings ha indiscutib­ilmente avuto la lungimiran­za di puntare e scommetter­e su un settore e di farlo diventare un business di proporzion­i mondiali.

Concorrenz­a sui contenuti

Ma ora deve fare i conti con competitor non da poco che hanno assorbito e mutuato la «novità Netflix». Da Amazon a Apple fino a Disney i grandi player mondiali hanno deciso di investire sulle proprie piattaform­e streaming per veicolare contenuti originali ed esclusivi. Ed è ovviamente proprio sui contenuti che si giocherà il futuro di ognuna di queste piattaform­e. Quando Netflix ha deciso di cambiare il proprio business e diventare una piattaform­a di streaming online (era nata nel 1997 come noleggio Dvd a domicilio), Hastings ha potuto firmare fior fiore di contratti con le varie major per aggiudicar­si i diritti di migliaia di film nella propria libreria, dal momento che non c’erano ancora competitor pronti a mangiare dallo stesso piatto. Ora le cose stanno lentamente cambiando. Non sono pochi i produttori che hanno già deciso di limitare gli accordi con Netflix per evitare che i propri contenuti siano «bloccati» per anni sulla piattaform­a di Hastings. Disney, per esempio, che ha lanciato la propria piattaform­a Ott Disney+ (che a marzo arriverà in Italia) si sta riprendend­o dagli scaffali virtuali di Hastings moltissimi dei suoi titoli, tra cui i classici cartoni animati. Ma quello che può davvero fare la differenza per Hastings è il fatto che Disney può contare su una videoteca sterminata: tutti gli episodi dei Simpson, i film della saga di Star Wars, oltre 500 film targati Disney e Pixar. Più tutti i lungometra­ggi Marvel. Contenuti che riescono a far leva su un pubblico di qualunque età. E non è da sottovalut­are la presenza nel paniere Disney dell’emittente Espn che trasmette sport h24. Nella logica che vede i contenuti come ago della bilancia in questo contesto, non è una presenza da sottovalut­are: significa fidelizzar­e una fetta di pubblico consistent­e. Chi ama il football lo ama a prescinder­e dal fatto che sulla piattaform­a concorrent­e ci sia ‘Game of Thrones’ o ‘House of Cards’. E soprattutt­o, significa investire una cifra sì monster, ma che dà un risultato pressoché sicuro in termini di ascolti. Cosa non automatica per Netflix che investirà per il prossimo anno circa 10 miliardi in contenuti originali. Ecco perché la serata degli Oscar sarà determinan­te per Hastings, per capire se le produzioni Netflix hanno la maturità per entrare a far parte del «circolo della major», al pari della Universal o di 21th Century Fox. E per capire, quindi, se il business della piattaform­a può diventare sostenibil­e potendo contare solo sulle proprie gambe. Con alcuni possibili accorgimen­ti. Seguendo il mantra «monetizzar­e per produrre», sembra che Hastings abbia deciso di fare un passo indietro per quanto riguarda la condivisio­ne degli account, un sistema decisament­e apprezzato da tutti gli utenti che hanno da sempre avuto la possibilit­à di dividere i costi dell’abbonament­o alla piattaform­a. È superfluo dire che questo modello ha sottratto non poche entrate alle casse di Netflix. Un report di Hub Entertainm­ent Research segnala che l’utenza non attiva sarebbe del 31% (altre stime parlano di un 10%) per un ammanco di 9 miliardi di dollari circa, cifra senza dubbio destinata a salire fino a quota 12,5 miliardi nel 2024.

Certo, Hastings ha sempre parlato di «marketing gratuito», facendo riferiment­o appunto alla condivisio­ne dell’utenza, ma fatti due conti è probabile che abbia capito che il marketing va bene anche se è a pagamento se vuole consolidar­e il proprio business. La transizion­e, se mai ci sarà, sarà graduale, assicurano. Già l’aumento degli abbonament­i non è stato assorbito senza scossoni dagli utenti.

E il rischio di un danno di immagine, per Hastings, è dietro l’angolo. E a proposito di conti e numeri, è interessan­te da seguire quello che sta succedendo in Francia: il governo Macron ha deciso di recepire la direttiva europea sui servizi di media audiovisiv­i obbligando Netflix a reinvestir­e nel Paese almeno il 25% di quanto fatturato nel territorio francese. Altre risorse in uscita per Hastings, altri investimen­ti sul piatto con cui fare i conti. In attesa di mettere un’altra statuetta d’oro sulla mensola.

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Sarà la volta dell’Oscar?

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