Di autostrada e dintorni
A me la proposta di coprire l’autostrada, anzi farla sparire, non piace proprio. Anche se coperta di verde. Anche a trovare la soluzione rivoluzionaria per il semisvincolo, che non porterà solo effetti positivi al centro cittadino. Non mi piace per diversi motivi. Con l’autostrada, in città non si arriva, non si entra, si passa soltanto. E se passando si può avere un’idea fugace di cosa sta nel territorio, per entrarvi… bisogna uscire dalla città. A Bellinzona si accede con la strada cantonale che porta alla città-centro, ci si incanala nell’arteria che l’attraversa per tutta la lunghezza, ti perdi in colonne a tutte le ore del giorno alla ricerca di scappatoie, ti ritrovi in un lungo non-luogo… fino all’uscita. La città, però, merita altro: avere un buon accesso ad esempio. Già, cosa merita, se finora si sta sviluppando senza percepire quel salto di qualità che si auspicava con l’aggregazione? Progetti, studi di cui si sa poco o nulla (ma arriveranno giusto per le elezioni), proposte, interventi previsti, intenzioni… a iosa, e tutti con-centrati. Cosa merita e cosa ci si dovrebbe aspettare? Faccio esercizio di memoria e immaginazione, ripongo l’attenzione sulla città che conosco e che vivo, dove lavoro, ripercorro la storia della città come l’ho vissuta, in svariate maniere e sotto diversi aspetti. E riprovo con la lettura e l’osservazione attenta del territorio che definisce la città, la rifaccio con spirito critico sui miei stessi pensieri, sulle mie stesse esperienze, la mia stessa attività.
Mi installo sulla murata
Cerco e trovo il luogo più favorevole, a mezza montagna, non troppo in alto e nemmeno troppo in basso (...)
(...) per meglio percepire quello che mi offre il territorio senza restare troppo sulle nuvole né sul terreno della realtà. Mi installo sulla murata che mi protegge dalla scarpata, mi siedo tra un merlo e l’altro: lo sguardo va su tutto lo spazio che si apre alla mia vista come in preparazione delle grandi linee di una pianificazione partendo da oggi per il domani. Osservo e memorizzo, sento, ascolto, vedo, vedo in particolare l’autostrada, il fiume, la golena che si accompagnano in parallelo, osservo il versante che delimita la valle e la protegge, noto il costruito, gli spazi liberi, elementi più e meno appariscenti, costruzioni riconoscibili per il loro contenuto. In questo territorio si insedieranno, come rilevato dai media e dai bollettini del Comune, il nuovo ospedale, il nuovo centro congressi, il centro di pronto intervento, l’istituto di biomedicina, l’istituto oncologico, il nuovo quartiere ex officina, il quartiere della nuova stazione di piazza Indipendenza, tutti interventi che non spariscono facilmente nel territorio, lo modificano fortemente anche per gli annessi e i connessi che richiedono.
Il futuro della città
Sarebbero il futuro della città. Provo a inserirli tutti pensando all’elaborazione di un piano: l’esercizio risulta difficile perché si tratta di strutture impegnative (non si fa un centro congressi per 300 persone, almeno mille ci vogliono!), rappresentative (qualcuna diventerà l’opera d’arte e il monumento del secolo), e per le connessioni che richiedono, grandi segni nel territorio. Memorizzo, fin qui. Libero la mente e torno a guardare: l’autostrada in confronto, dal mio punto di vista privilegiato nemmeno salta all’occhio, di coprirla non viene proprio in mente, non solo pensando al costo (campagna elettorale in vista?). Il fiume, che scorre parallelo, nel momento della mia osservazione brilla, viaggia… e accompagnandosi alla golena traccia un percorso blu-verde-grigio, indicando quasi delle linee direttrici: di percorsi, collegamenti, storia, di futuro. Blu del cielo e dell’acqua (storia natura e fantasia), verde del prato e dell’albero (gioia divertimento…), grigio dell’asfalto (comunicazione). Anche per questo non farei sparire l’autostrada, essa fa parte di un sistema sul quale impostare un progetto: il fiume per collegare (unire), l’autostrada per viaggiare (arrivare), la golena per passeggiare.
Evidenzia gli errori del passato
E non la farei sparire anche per un’altra ragione: evidenzia gli errori del passato, che sono diversi, ai quali non sono stati proposti o studiati finora seri correttivi alternativi. La storia, la memoria storica deve servire in questo caso, e essere utile per proporre finalmente un piano della mobilità (una volta piano viario) che risolva i problemi della città concernenti accessi, passaggi, attraversamenti, collegamenti interni ed esterni (per le varie mobilità evidentemente), il tutto con la sensibilità che si sta instaurando anche da queste parti. Nascondere un intervento, che non era certo l’ideale, coprendolo di verde evita di porsi il tema. La città, oggi, ha bisogno di visioni, ha bisogno di un piano paesaggio, ha bisogno di una politica territoriale fondata sulla cultura. Ha bisogno di coraggio. Richiede immaginazione, che è la mia arma preferita abbinata alle conoscenze accumulate. Sempre seduta tra un merlo e l’altro, osservo con rinnovata attenzione la porzione di territorio che si apre alla mia vista e la comprendo tutta. Fisso lo sguardo verso le tre direttrici ormai scoperte, sulla grigia in particolare, e ricordo: sei una terrorista politica, mi si disse in Consiglio comunale anni fa, perché ho osato dire che in uno spazio largo poco più di 500 metri 18 corsie stradali, come prevedeva il piano viario posto all’attenzione del legislativo, erano un po’ troppe. In quell’occasione avevo anche reagito… a modo mio evidentemente. I 40 anni passati sono persi (nessun accesso, gli svincoli non hanno avuto seguito, l’attraversamento della città lungo il tracciato via Zorzi-viale Portone-via San Gottardo intasato, il semisvincolo, di cui non si intravvedono, a dire il vero, conseguenze solo positive, di là da venire. Mi sembra, a questo punto, di essere nuovamente una terrorista: perché cerco e immagino su come e perché rendere “grande” Bellinzona, e non solo la porzione che si apre al mio punto d’osservazione privilegiato, anche quella che rischia di restare sempre periferia: facendo scelte, anche coraggiose, osare e provare/sperimentare, con responsabilità (individuale e collettiva) affinché nel 2040 non si debba, magari, rimpiangere di aver coperto l’autostrada!
Piccolo finale. Per una città aperta accogliente e responsabile, che non lascia indifferente e fa sentire la vita di città. Bellinzona si metta in rete, (non è forse Comune d’Europa?), facendo utili esperienze e conoscenze anche fuori dal proprio orticello. Bellinzona diventi cittàlaboratorio di sperimentazioni. Bellinzona applichi una cultura del potere locale.