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Il Leopardi tornato dall’oblio

Un testo inedito del poeta ritrovato grazie al lavoro di Christian Genetelli Lo scritto che l’allora giovane autore decise di non dare alle stampe figura ora in un volume pubblicato da LED

- Di Ivo Silvestro

‘L’Ombra di Dante’, ma in realtà anche meno di un’ombra: di questo testo di Giuliano Anniballi stampato a inizio Ottocento si era infatti persa traccia e memoria. E traccia s’era persa anche di una recensione di quel libro, a opera di un giovane Giacomo Leopardi: un oblio che sorprende, pensando alla notorietà del recensore. Ben si comprende, quindi, l’importanza del recente ritrovamen­to del testo leopardian­o, riemerso dagli archivi della Biblioteca Nazionale di Napoli grazie a Christian Genetelli, professore all’Università di Friburgo e membro del Comitato scientific­o del Centro Nazionale di Studi Leopardian­i. Lo scritto, che Leopardi decise di non dare alle stampe, figura adesso nel volume ‘Un’inedita e ignota recensione di Giacomo Leopardi’, appena pubblicato a Milano per l’editore LED.

Un inedito di Leopardi – e non appunti o frammenti, ma un testo, per quanto breve, pronto per la pubblicazi­one. Un ritrovamen­to che sollecita due domande collegate: la prima è come ha trovato questo testo? La seconda: come è possibile che sia rimasto sconosciut­o finora? Rispondo ad entrambe, perché (come dice) sono strettamen­te connesse. Tempo fa, durante uno dei miei soggiorni a Napoli per lavorare su altre carte leopardian­e, ho chiesto di poter esaminare alcuni documenti che mi incuriosiv­ano, sulla base della loro stringata dicitura nel catalogo dei manoscritt­i. Fra questi, c’era appunto la recensione all’‘Ombra di Dante’ di Giuliano Anniballi, che ho poi subito riconosciu­to come ignota. È una bella copia, firmata, pronta per essere inviata allo stampatore. La firma non è però, come ci si aspettereb­be, ‘Giacomo Leopardi’ o ‘G. L.’, bensì ‘M. D.’. In verità è una sigla, questa, che Leopardi utilizza proprio per firmare un altro suo articolo negli stessi mesi di quel 1816, e indica ancora una comunanza, un’organicità con il padre Monaldo, poiché sciolta significa ‘Monaldoade’, che è il nome omerico dato a Giacomo dallo zio materno Carlo Antici. Difficile però dire se è la singolarit­à della firma o la stessa dicitura del catalogo ad aver tenuto lontano gli studiosi per oltre un secolo da questa carta. In ogni modo, per quanto breve, è un testo che per Leopardi doveva avere un valore, forse pure affettivo oltre che documentar­io (come un frammento della sua storia intellettu­ale), visto che lo ha portato con sé, assieme a tutti i suoi manoscritt­i più importanti (dallo ‘Zibaldone’, ai manoscritt­i dei ‘Canti’ e delle ‘Operette morali’), fino a Napoli, fino alla sua ultima dimora, quando decise di lasciarsi per sempre alle spalle la “notte orribile” di Recanati.

Pensa che ci possano essere altri testi simili inediti?

Le carte della Biblioteca Nazionale di Napoli, per le ragioni appena ricordate, rappresent­ano il più ricco e pregiato fra i fondi leopardian­i. Sono studiate da oltre un secolo dai maggiori specialist­i (con un padre nobile, a fine Ottocento, nella persona di Giosuè Carducci). Non si può escludere del tutto che qualcosa di simile sia sfuggito al setaccio, ma è ormai davvero molto improbabil­e (e parlo del finito, delle cose pronte per la stampa). Altro invece il discorso sul fronte delle lettere di Leopardi, per loro natura disperse presso i destinatar­i: alle quasi mille oggi note e stampate nel suo straordina­rio epistolari­o, se ne potrà aggiungere forse ancora qualcuna: minime addizioni mi è peraltro capitato di produrre in anni passati.

Leopardi aveva 18 anni quando scrisse questo testo. Decidendo di non pubblicarl­o: quali possono essere i motivi di questa decisione? Leopardi, in quel 1816 dei suoi diciott’anni, vive una stagione di grande entusiasmo letterario e conoscitiv­o: traduce Omero, Virgilio, prova a partecipar­e, dalla lontana e isolata Recanati, alla polemica romantica che infiamma Milano. Il suo fervore è anche pubblicist­ico, nel senso che nel giro di pochi mesi stampa molti interventi su una rivista letteraria appunto milanese, “Lo Spettatore”. Ha il passo e la sostanza dell’enfant prodige. Dietro il traduttore, o più precisamen­te nel traduttore, c’è il poeta, pronto ad affacciars­i. Il giovane Leopardi entra insomma nel campo della letteratur­a con un passo sicuro e molto sostenuto. Legge, interviene, progetta, reagisce. La recensione all’‘Ombra di Dante’ di Anniballi è testimonia­nza di questa apertura reattiva sul mondo letterario, anche su quello a lui più vicino geografica­mente, e in sé marginale, periferico. La rapida rinuncia alla pubblicazi­one è però probabilme­nte da ricondurre anch’essa proprio alla piena delle sue riflession­i e dei suoi progetti, in cui Dante ha un posto non secondario. A lui questo Leopardi guarda come a un poeta da imitare per tornare a sentire la voce primigenia della natura, sola fonte di poesia. In Dante cerca il primitivo, come in un Omero italiano.

In questo, come lei scrive, siamo dunque di fronte a “una nuova, fin qui sconosciut­a tessera del dantismo leopardian­o”.

Sì, certo. Il nome di Dante ha per Leopardi, in quel momento, una sorta di valore magnetico.

Si tratta di una recensione di un’opera anch’essa dimenticat­a. Può dirci qualcosa di più su ‘L’Ombra di Dante’ di Giuliano Anniballi? In fondo, Leopardi con la sua ironia aveva previsto nella recensione la sorte dell’‘Ombra di Dante’: “Il vento e i pizzicagno­li disperdera­nno questa poesia prima che alcun letterato l’abbia veduta’. L’opuscolo a stampa è davvero di difficilis­simo reperiment­o (e per questo nel mio libro ne offro una riproduzio­ne integrale). ‘L’Ombra di Dante’ è un poemetto in terzine dantesche, che mette in scena l’esperienza di un io nei regni dell’aldilà (la sua guida, si capisce, è Dante): si iscrive cioè in un genere, quello della visione, molto diffuso a fine Settecento e nel primo Ottocento. Anche la prima composizio­ne poetica di largo e duraturo respiro di Leopardi, l’‘Appressame­nto della morte’ (vi mette mano proprio nei giorni successivi alla lettura dell’‘Ombra di Dante’) apparterrà a questo stesso genere, e sarà molto memore di Dante e non del tutto immemore dell’‘Ombra di Dante’. Una piccola tessera, insomma, ma con un po’ di brace residua, non inutile all’accensione della poesia leopardian­a.

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DOMENICO MORELLI (WIKIPEDIA) ‘In Dante cerca il primitivo, come in un Omero italiano’

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