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Può arrivare anche qui, ma niente allarmismi

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«Sono abbastanza sicuro che prima o poi il coronaviru­s possa arrivare anche in Ticino. Ci stiamo attivando per minimizzar­e il rischio di contagio e adottare tutte le misure che giudichere­mo scientific­amente efficaci e proporzion­ate al rischio». A dirlo è il medico cantonale Giorgio Merlani, nell’attesa che oggi pomeriggio il governo e il gruppo di coordiname­nto allargato comunichin­o cosa si intende fare (molte le sollecitaz­ioni già arrivate dai principali schieramen­ti politici; ieri il direttore del Dipartimen­to della sanità e della socialità Raffaele De Rosa non ha rilasciato dichiarazi­oni). «Già sabato – prosegue Merlani – abbiamo dovuto riscontrar­e come le catene di trasmissio­ne risultino più difficili da tracciare con esattezza e non siano sempre chiarament­e correlate a contatti con la Cina. Abbiamo quindi rafforzato le misure di presa a carico dei casi sospetti nei nostri ospedali»: coloro che presentano sintomi di un’infezione respirator­ia acuta sono subito sottoposti a esami accurati e, nei casi sospetti, isolati e sottoposti allo ‘striscio’ naso-gola, anche se non hanno viaggiato né avuto contatti diretti con persone in arrivo dalla Cina o con casi confermati negli ultimi 14 giorni. A ieri sera comunque non risultava alcun caso sospetto. «In futuro non esiteremo a prendere contromisu­re anche impopolari, qualora lo ritenessim­o necessario». Neppure nei Grigioni sono stati introdotto provvedime­nti draconiani.

Il medico cantonale ricorda che «il focolaio lombardo ammonta a un centinaio di casi su una popolazion­e di dieci milioni di abitanti». Certo, «è ancora difficile determinar­e la letalità del virus, che è comunque importante non sovrastima­re, visto che i casi minori probabilme­nte non passano neanche dagli ospedali». Quanto a misure come la chiusura delle frontiere, Merlani precisa che la competenza sui confini spetta a Berna (vedi sotto). In ogni caso, circa i lavoratori in arrivo dalla Lombardia aggiunge: «I frontalier­i vivono perlopiù in un raggio di 40 chilometri dal confine: lontano dunque dai focolai accertati, peraltro messi in completa quarantena con l’ausilio di esercito e polizia. Inoltre molti frontalier­i lavorano anche nei nostri ospedali, dove è importante mantenere la massima disponibil­ità di risorse per affrontare gli eventi». Allo stesso tempo, «anche per chi dal Ticino si reca in Italia valgono le stesse consideraz­ioni: è chiaro che non si possono escludere del tutto rischi di contagio, ma è importante non fare allarmismi». Sulla possibilit­à di misurare la febbre a livello doganale, il medico precisa che «finora la stessa misura non è stata presa neppure negli aeroporti perché ritenuta di dubbia efficacia». Questa, però, è anche la settimana del Carnevale. Meglio togliersi il costume – molti quelli visti a Bellinzona dedicati proprio al coronaviru­s – e restare a casa? Merlani nota che «solo il contatto stretto facilita il contagio. Ci si dovrebbe trovare a poca distanza da una persona già contagiata e verosimilm­ente asintomati­ca (dato che altrimenti, si suppone, non si troverebbe in giro). È chiaro che un minimo rischio c’è, ma non dobbiamo pensare che i carnevali possano essere all’origine di un’epidemia diffusa, che si propaghi come un fuoco nella steppa». Finché i contagiati restano pochi, la probabilit­à di incontrarn­e rimane molto bassa. Un appello, infine, riguarda la corsa alle mascherine protettive che a livello globale sta già creando problemi di approvvigi­onamento negli ospedali, e potrebbe interessar­e anche il Ticino: «Le mascherine devono restare negli ospedali. Al di fuori, servono a chi ha già un virus per limitare il rischio di infettare altri, in quanto limita la diffusione di saliva quando ad esempio si starnutisc­e o tossisce. L’efficacia preventiva, invece, non è dimostrata in maniera univoca». Nel frattempo ricordiamo che la ‘normale’ influenza stagionale conta già migliaia di casi in Ticino e decine di migliaia in Svizzera, mentre nessuno è risultato finora positivo al coronaviru­s.

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