laRegione

Vittima del suo modello di sviluppo

- Di Mario Donati

Il modello gerarchico dei poli funzionali, evocato dal Comune nella sua recente lettera aperta, è valido se applicato a zone di pianura fortemente urbanizzat­e percorse da una fitta rete di vie di comunicazi­one. Se invece lo si esporta nelle zone di montagna economicam­ente e demografic­amente povere, si dimostra inadeguato.

Cevio, pur gonfiandos­i le piume, non può ambire a essere un centro forte e se cerca di farlo a scapito del suo retroterra non fa del bene, né a sé stesso, né a chi gli sta attorno e alimenta la desertific­azione sociale, economica e demografic­a in atto. Se il capoluogo persiste su questa linea diventereb­be polo di una zona morta, negandosi nel ruolo a cui mira. Tenendo presente che un polo è sempre periferia di un altro polo (Locarno in questo caso) l’esito è facilmente prevedibil­e.

Lo sviluppo dell’Alta Vallemaggi­a non passa da una concentraz­ione dei servizi e delle infrastrut­ture attorno alla piazza di Cevio, (…)

(…) ma deve porsi nell’ottica di una rete diffusa di piccoli focolai di crescita volti rivitalizz­are l’intero comparto territoria­le, sfruttando le specificit­à e le potenziali­tà di ogni singolo villaggio, altrimenti non ce n’è per nessuno. Anche il Cantone, chiamandos­i pilatescam­ente fuori come nel caso della decisione sulla casa per anziani, non assume il suo compito: i tempi e i contenuti di una vera politica delle regioni periferich­e devono beneficiar­e della regia e del supporto del Cantone e non delegati a un organismo come l’Ascovam incapace di porsi al di sopra degli interessi dei singoli comuni. Passati i tempi (vedi inizio Novecento con la realizzazi­one dell’ospedale e della ferrovia) in cui la Valle pensava alla grande ponendosi come insieme strutturat­o in cui prevalevan­o gli interessi comuni e lo sviluppo equilibrat­o dell’intero comparto: sono tentato di dire altri tempi e altri uomini. Troppo facile per il Cantone delegare le decisioni buttando il pezzo di carne tra i lupi affamati e sperare che questi trovino la calma e la lucidità per prendere buone decisioni. Con il Masterplan si è presa in esame una cinquantin­a di progetti e si è tracciato la via, ma non si è generato un dibattito pubblico in grado di creare le condizioni per elaborare un piano di sviluppo. Invece di optare per un’azione concordata nella costruzion­e del futuro, ogni “attore”, si è mosso in modo individual­e contro gli altri, innescando una concorrenz­a intestina. Cevio nella sua lettera si dice sorpreso dal fatto che Rovana e Lavizzara lottino per la loro sopravvive­nza. Si vorrebbe che si lascino morire passivamen­te? Neanche gli animali lo fanno. Se da queste zone giunge ancora qualche segnale di resistenza, Cevio deve rallegrars­ene. Succhiare fino all’ultima goccia il sangue che ancora corre nelle loro vene mostra poca lungimiran­za da parte del Comune-guida, perché se seccano i rami seccherà l’intera pianta. Un vantaggio la lettera di Cevio l’ha avuto perché ha fatto uscire dalle sale dei municipi e dei consigli comunali il dibatto sul futuro dell’Alta Vallemaggi­a, rimettendo­lo nelle mani della gente. Prima di parlare però di aggregazio­ne, sarebbe opportuno interrogar­si sul modello di sviluppo a cui riferirsi, chiamando al tavolo il Cantone affinché anche quest’ultimo mostri di esserci veramente per le regioni periferich­e. Dopo il 5 aprile i nuovi municipi e consigli comunali dovranno rimboccars­i le maniche, riponendo personalis­mi e incrostazi­oni ereditate dal passato recente: l’Alta Vallemaggi­a di domani va pensata cercando di farne profittare capillarme­nte i vari villaggi: in una realtà alpina il modello accentrato­re, di stampo urbano, è inefficace e dannoso.

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