Vittima del suo modello di sviluppo
Il modello gerarchico dei poli funzionali, evocato dal Comune nella sua recente lettera aperta, è valido se applicato a zone di pianura fortemente urbanizzate percorse da una fitta rete di vie di comunicazione. Se invece lo si esporta nelle zone di montagna economicamente e demograficamente povere, si dimostra inadeguato.
Cevio, pur gonfiandosi le piume, non può ambire a essere un centro forte e se cerca di farlo a scapito del suo retroterra non fa del bene, né a sé stesso, né a chi gli sta attorno e alimenta la desertificazione sociale, economica e demografica in atto. Se il capoluogo persiste su questa linea diventerebbe polo di una zona morta, negandosi nel ruolo a cui mira. Tenendo presente che un polo è sempre periferia di un altro polo (Locarno in questo caso) l’esito è facilmente prevedibile.
Lo sviluppo dell’Alta Vallemaggia non passa da una concentrazione dei servizi e delle infrastrutture attorno alla piazza di Cevio, (…)
(…) ma deve porsi nell’ottica di una rete diffusa di piccoli focolai di crescita volti rivitalizzare l’intero comparto territoriale, sfruttando le specificità e le potenzialità di ogni singolo villaggio, altrimenti non ce n’è per nessuno. Anche il Cantone, chiamandosi pilatescamente fuori come nel caso della decisione sulla casa per anziani, non assume il suo compito: i tempi e i contenuti di una vera politica delle regioni periferiche devono beneficiare della regia e del supporto del Cantone e non delegati a un organismo come l’Ascovam incapace di porsi al di sopra degli interessi dei singoli comuni. Passati i tempi (vedi inizio Novecento con la realizzazione dell’ospedale e della ferrovia) in cui la Valle pensava alla grande ponendosi come insieme strutturato in cui prevalevano gli interessi comuni e lo sviluppo equilibrato dell’intero comparto: sono tentato di dire altri tempi e altri uomini. Troppo facile per il Cantone delegare le decisioni buttando il pezzo di carne tra i lupi affamati e sperare che questi trovino la calma e la lucidità per prendere buone decisioni. Con il Masterplan si è presa in esame una cinquantina di progetti e si è tracciato la via, ma non si è generato un dibattito pubblico in grado di creare le condizioni per elaborare un piano di sviluppo. Invece di optare per un’azione concordata nella costruzione del futuro, ogni “attore”, si è mosso in modo individuale contro gli altri, innescando una concorrenza intestina. Cevio nella sua lettera si dice sorpreso dal fatto che Rovana e Lavizzara lottino per la loro sopravvivenza. Si vorrebbe che si lascino morire passivamente? Neanche gli animali lo fanno. Se da queste zone giunge ancora qualche segnale di resistenza, Cevio deve rallegrarsene. Succhiare fino all’ultima goccia il sangue che ancora corre nelle loro vene mostra poca lungimiranza da parte del Comune-guida, perché se seccano i rami seccherà l’intera pianta. Un vantaggio la lettera di Cevio l’ha avuto perché ha fatto uscire dalle sale dei municipi e dei consigli comunali il dibatto sul futuro dell’Alta Vallemaggia, rimettendolo nelle mani della gente. Prima di parlare però di aggregazione, sarebbe opportuno interrogarsi sul modello di sviluppo a cui riferirsi, chiamando al tavolo il Cantone affinché anche quest’ultimo mostri di esserci veramente per le regioni periferiche. Dopo il 5 aprile i nuovi municipi e consigli comunali dovranno rimboccarsi le maniche, riponendo personalismi e incrostazioni ereditate dal passato recente: l’Alta Vallemaggia di domani va pensata cercando di farne profittare capillarmente i vari villaggi: in una realtà alpina il modello accentratore, di stampo urbano, è inefficace e dannoso.