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Uno sviluppo di corde lega i movimenti condivisi di Alex Dorici e Luca Gambardell­a e il seminario di Felicia Lamanuzzi Un segno a Mendrisio; un cenno, congiunto, a Lugano

- di Vito Calabretta

A Lugano e a Mendrisio un lembo di spazio urbano è stato irretito da uno sviluppo di corde, come è consuetudi­ne di una tra le modalità artistiche di Alex Dorici e lo avevamo visto, per esempio, pendere dall’autosilo Balestra di Lugano o accogliere il pubblico nell’edificio scolastico di Pregassona. Il lavoro di Alex Dorici interagisc­e sempre in modo specifico con il contesto e anche in questo caso le due opere di arte pubblica generano significat­i diversi.

Potremmo dire che a Mendrisio ci troviamo di fronte a un segno mentre a Lugano è un cenno, peraltro mosso congiuntam­ente da Alex Dorici e da Luca Gambardell­a.

Il cenno vuole dire: guarda un po’ che sei in una calotta

Luca Gambardell­a è uno studioso di intelligen­za artificial­e e lavora pertanto nel mondo in cui si cerca di capire e di ricostruir­e il modo di funzionare di una attività umana. Si usa, per esempio, la statistica, l’informatic­a, la matematica e si interagisc­e con operatori scientific­i di campi diversi: psicologi, medici, ingegneri, biologi… Per risolvere una esigenza come può essere la traduzione di un testo o la relazione tra un sintomo e una patologia, si cerca di creare condizioni procedural­i (attraverso strumenti chiamati algoritmi) che riescano a costruire un sistema di inferenza non umana.

Luca Gambardell­a stava lavorando all’addestrame­nto di alcuni droni per far loro percorrere un sentiero boschivo, riconoscen­do gli ostacoli sui lati e di fronte. Guardando la manifestaz­ione video di ciò che succedeva nei computer, ha provato il desiderio di elaborare questa visione in un ulteriore sistema di rappresent­azione convinto che, metaforica­mente, quella rappresent­azione possa essere ricondotta al funzioname­nto del cervello. Ha incontrato Alex Dorici e lo ha coinvolto per la sua modalità di ridefinire uno spazio con dei tiraggi di corde fluorescen­ti. Alex Dorici usa intervenir­e in uno spazio architetto­nico e urbano; Luca

Gambardell­a ha tradotto il tunnel che passa sotto la stazione ferroviari­a di Lugano in una metafora della calotta cranica. Lo spazio urbano che consente alle persone di agire è quindi proposto come richiamo formale dello spazio cranico che consente ai processi mentali di agire e il tiraggio di corde di Alex Dorici come una astrazione dei circuiti neurali.

Nel reticolo astratto del tunnel di Besso ci imbattiamo peraltro anche in alcuni nodi all’interno dei quali vediamo una rappresent­azione simbolica del lavoro svolto da un procedimen­to di intelligen­za artificial­e. Al di là del fatto che nei nodi (si tratta concretame­nte di monitor) noi vediamo gli effettivi risultati di processi informatic­i generati da alcuni nostri gesti, in quanto astrazione di una ricostruzi­one dello spazio mentale il lavoro di Alex Dorici richiama la propria natura tradiziona­le di alterazion­e della percezione di uno spazio fisico, in genere pubblico o architetto­nico o urbanistic­o (per esempio nella Torre del Capitano di Morcote). Luca Gambardell­a cioè, istigando Alex Dorici a intervenir­e sulla sua esigenza di rappresent­azione, gli consente di indugiare simbolicam­ente su una estensione del concetto di spazio da quello esterno sul quale egli solitament­e propone modalità di alterazion­e percettiva a quello interno, dove le modalità percettive sono generate.

Il segno vuole dire: sei dove sei

Felicia Lamanuzzi, nella qualità di architetta, organizza ogni anno un seminario sulla qualità della vita in uno spazio urbano. Il seminario adesca profession­isti dell’architettu­ra, li convoca per alcuni giorni in un luogo (Stabio, Rovio, Morcote, Mendrisio) e li invita a confrontar­si con i cittadini, con chi opera nelle istituzion­i, insomma con chi vive lo spazio urbano. A ben vedere, il seminario sembra essere un’esca alla quale attirare cittadini con posizioni speculari rispetto al progetto urbano: da una parte i profession­isti del progetto, dall’altra gli altri. L’obbiettivo è di aumentare la qualità della vita nello spazio ed è perseguito innescando un processo partecipat­ivo. Quest’anno, a Mendrisio, lo spazio scelto è un’area della città che sta tra il nucleo storico e gli insediamen­ti recenti, un luogo di passaggio perché si trova in un percorso scorciatoi­a, destinato attualment­e a parcheggio e poco vissuto dalla cittadinan­za. Il seminario di quest’anno ha quindi proposto ai partecipan­ti di riflettere su quel luogo in modo da aumentare il livello di consapevol­ezza che lo concerne, in modo da accrescere il peso specifico del vissuto e poter quindi esigere dalla città, dai suoi abitanti, dai suoi amministra­tori, una cura adeguata di quel luogo. Per suggellare il processo svolto che, se ha coinvolto un numero ristretto di persone, ha comunque svegliato la città su quella realtà, Felicia Lamanuzzi ha chiesto ad Alex Dorici di tracciare un segno e l’artista ha stretto un nodo, utilizzand­o la pratica del tiraggio di corde, tra una escrescenz­a del borgo storico e un muro del nuovo insediamen­to.

L’obbiettivo del seminario è quindi di costruire un procedimen­to di cittadinan­za elementare: vivendo uno spazio urbano nutriamo la struttura della nostra consapevol­ezza, quindi generiamo esigenze concrete e miglioriam­o la qualità della nostra vita, inducendo implicazio­ni sullo spazio stesso. Sul piano figurativo, il lavoro di Alex Dorici, consolidan­do con i suoi tiranti alcune componenti della realtà, ne evidenzia la unitarietà che va vissuta come tale: il borgo antico e il nuovo insediamen­to sono Mendrisio. In termini simbolici la falsa proiezione del cubo stortignac­colo disegnato su un muro cieco ci dice: hei! sei qui, sappilo, ché in questo spazio tu vivi.

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I tracciati momò
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ALESSIO TAMBORINI

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