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E non sarà l’ultimo

- Di Matteo Caratti

L’arrivo del coronaviru­s anche in Svizzera era preannunci­ato e da ieri sappiamo che il primo caso concreto si è verificato proprio in Ticino. E pensare che non ci eravamo neppure abituati al crescendo di notizie fioccate nel fine settimana dalla vicina Lombardia e dal Veneto dove, dopo i primi contagi e purtroppo anche i primi morti registrati, sono state bloccate a casa loro (proprio come avvenuto in Cina) intere comunità.

E da noi cosa succede? Fin qui – primo caso elvetico conclamato compreso – le autorità cantonali e federali si sono mostrate prudenti e rassicuran­ti, visto che il settantenn­e infettato, il suo medico e l’ospedale si sono comportati in modo particolar­mente corretto. Il malato non si è recato al Pronto soccorso, ma ha allertato il medico di fiducia e la struttura sanitaria, che lo ha poi accolto a Moncucco, è stata in grado di isolarlo a dovere. Sembrerebb­e poi anche che i suoi contatti, una volta infettato, non destino particolar­i preoccupaz­ioni. Lui stesso ora sta bene.

Dunque, benché in pochi giorni gli scenari in Italia siano radicalmen­te cambiati e malgrado il primo caso in Ticino (che sembrerebb­e circoscrit­to), per ora non c’è alcuna misura particolar­e ulteriore all’orizzonte, oltre a quelle già note: lavarsi le mani più volte al giorno, starnutire nel gomito e pulirsi utilizzand­o il fazzoletto di carta da poi buttare. E appello alla responsabi­lità personale: se si hanno i sintomi e si è stati nelle zone a rischio, non esitare a contattare il proprio medico. Giusto o no? L’immediato futuro dirà. La situazione è parecchio nuova e molto seria: prova generale di contenimen­to epidemico.

Veniamo, però, a un interrogat­ivo che sono in molti a porsi. Visto che i virus non si fermano ai confini e le persone che vanno e vengono quotidiana­mente dalla Lombardia sono decine e decine di migliaia e non sono solo i frontalier­i ad attraversa­re la dogana, ma anche tanti ticinesi che viaggiano in quelle zone per turismo, fare acquisti, incontrare amici e parenti, si potrebbe fare qualcosa in più e più in fretta? L’autorità, in queste ore, ha più volte ribadito che la chiusura delle frontiere non è una misura di provata efficacia e che i provvedime­nti devono essere proporzion­ati. Sull’efficacia non abbiamo elementi per contraddir­e le opinioni di esperti in materia. Resta comunque il fatto che, se sono date determinat­e condizioni (ed è avvenuto in Cina come in Italia), si sono sigillati i perimetri di certi comuni dalla sera alla mattina. Quanto alla proporzion­alità, ieri sera abbiamo dato un’occhiata anche al telegiorna­le della Svizzera romanda. La reporter ha espresso un certo stupore per i Carnevali che continuano con manifestaz­ioni di festa a contatto molto ravvicinat­o. Non da ultimo, un esperto virologo ha detto, senza tanti giri di parole, che se in Italia si è passati in così pochi giorni da 1 o 2 casi a più di 250, significa che non si è ancora riusciti a misurare la reale diffusione dell’epidemia. Virus che necessita, dopo 2 o 3 giorni d’incubazion­e, di circa 7/10 giorni per manifestar­si. Parole chiarissim­e, anche se si tratta di un’influenza non poi così diversa dalla normale grippe stagionale. Malattia insidiosa per persone di salute fragile, in particolar­e per anziani che già hanno qualche patologia.

Già oggi però ne sapremo di più sulle eventuali prossime misure da adottare: il gruppo cantonale di esperti e il Consiglio di Stato torneranno infatti forza maggiore a incontrars­i. E, come abbiamo ormai capito, ogni giorno il grado di allerta (di una situazione che potrebbe durare anche alcuni mesi) potrebbe alzarsi. Siamo facili profeti: il primo caso ticinese non sarà l’ultimo.

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