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Mozioni e interpella­nze a inizio seduta

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Mozioni e interpella­nze devono essere evase a inizio seduta di Consiglio comunale. È quanto chiedono Andrea Stephani (I Verdi) e Benjamin Albertalli (Lega-Udc-Indipenden­ti) con una mozione elaborata presentata al Municipio di Mendrisio. Nella stessa viene proposta la modifica degli articoli 15 e 16 del Regolament­o comunale, con l’introduzio­ne del punto che indica che “la trattanda mozioni e interpella­nze viene di regola inserita nell’ordine del giorno subito dopo l’approvazio­ne del verbale delle risoluzion­i della seduta precedente”.

Obiettivo della proposta è “dare maggiore spazio al legislativ­o. Mozioni, interrogaz­ioni e interpella­nze sono i soli strumenti tecnici nelle mani dei consiglier­i comunali, al di fuori del voto sulle proposte del Municipio, per poter svolgere in maniera decorosa i compiti legati alla propria funzione”. Questo permettere­bbe di “riconoscer­e l’importanza delle proprie proposte e delle risposte ai quesiti di interesse pubblico che vengono posti all’esecutivo”. Dopo le risposte, la seduta continuere­bbe con i messaggi e gli altri temi previsti. A mente dei mozionanti si tratta di “un piccolo cambiament­o, ma non di poco conto. Si tratta infatti di fare un primo passo concreto verso l’instaurazi­one di un maggior dialogo tra legislativ­o ed esecutivo, che è forse il frangente in cui le cose sono andate peggio nel corso della legislatur­a che si concluderà a breve”. A mente di Stephani e Albertalli la situazione attuale è “desolante”. La comunicazi­one “assomiglia sempre più a un dialogo tra sordi”. Capita infatti – “spesso e volentieri” – che il momento delle risposte pubbliche arrivi solo “a tarda ora” e che “per non infastidir­e i colleghi rimasti i consiglier­i si rimettano praticamen­te sempre al testo, senza darne mai lettura, dando per scontato che tutti i presenti abbiano letto le consideraz­ioni e le domande rivolte all’esecutivo”. E “sempre più spesso”, il Municipio di fronte a risposte particolar­mente lunghe o tecniche “chiede all’interpella­nte di trasformar­e il proprio atto parlamenta­re in un’interrogaz­ione”. Fatto, questo, che comporta il “non avere una risposta in seduta pubblica e soprattutt­o non permettere un’eventuale discussion­e generale del plenum”.

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