La mascolinità in tutte le sue forme (anche repressive) esposta a Londra
Mascolinità ossia come ci si aspetta che ragazzi e uomini si comportino per il fatto di essere di genere maschile, dunque maschi. Storicamente è a partire dagli anni 60 del Novecento che il racconto della mascolinità si è fatto meno univoco: erano gli anni della rivoluzione sessuale, delle lotte per i diritti civili, della nascita del movimento per i diritti dei gay, gli anni della controcultura. Da quel momento l’essere maschio, pur in una società patriarcale fondata sul potere e il dominio del maschio, allora come oggi, ha cominciato a prendere varie strade e varie forme. Sono quelle documentate nella mostra ‘Masculinities: liberation through photography’, al Barbican di Londra fino al 17 maggio. I cambiamenti sociali sono fissati dagli scatti di Robert Mapplethorpe, Richard Avedon, Laurie Anderson, Hal Fisher, Sunil Gupta e Peter Hujar (questi ultimi due celebri per le foto di vita gay tra San Francisco, New York e la Londra repressiva della Thatcher). Tra le foto più interessanti – l’esposizione parte dagli anni 60 rimanendo comunque attuale – l’immensa parete con i ritratti di Piotr Uklanski degli ufficiali nazisti (l’immagine ‘ipermascolina’) e i loro omologhi al cinema, e gli scatti di Hal Fischer sulla ‘Gay Semiotics’, i codici gay della comunità di Castro ancora vivi oggi dagli anni 70 ossia la pelle, i baffi, le canottiere, i calzini bianchi, il fazzoletto nella tasca dietro dei jeans, le chiavi portate fuori, ovvero gli speciali segnali della comunità diventati in anni di repressione dei codici fashion per comunicare gli uni con gli altri.