laRegione

Negli appunti di Javier Zabala

L’intervista / Il grande illustrato­re spagnolo sabato 29 febbraio a Montagnola

- Di Beppe Donadio

Schizzi, note, idee, un’intimità resa disponibil­e in un libro, ‘Carnets’, anche mostra, tesoro privato ma non segreto: ‘Gli artisti sono abituati ad aprirsi. Anzi, devono’. L’iberico sarà ospite del ciclo ‘Aperitivo con l’autore’, curato da Sonja Riva e con le musiche di Mons.

Mai telefonare a un iberico alle tre del pomeriggio, perché sta mangiando. Però Javier Zabala sa che più a nord c’è un concetto diverso di tempo. E ci viene incontro. L’artista spagnolo che ha illustrato i classici della letteratur­a, che ha pubblicato per l’infanzia e per gli adulti con i grandi editori, che all’interno di oltre ottanta libri tradotti in diciotto lingue ha raccolto premi e riconoscim­enti, sarà al Museo Hermann Hesse di Montagnola sabato 29 febbraio dalle 17.30 (info@hessemonta­gnola.ch, entrata libera). Riprende così il secondo ciclo di ‘Aperitivo con l’autore’, curato da Sonja Riva, giornalist­a e autrice equamente suddivisa tra Roma, l’Umbria e il Canton Ticino. Prima di arrivare a Zabala, è a lei che chiediamo il significat­o di questa scelta. «Javier, oltre che artista di fama internazio­nale, è uomo sorprenden­te, capace di mettere insieme tante di quelle cifre stilistich­e da stupire». Quello in programma sabato è «un avveniment­o dentro la gente, con la gente. Non saremo sul palco, ma in mezzo alle persone, tra le quali Javier disegnerà». L’aperitivo con l’autore avrà la colonna sonora di Mons (all’anagrafe Maurizio Montoneri), genovese che vive a Roma e che sin dagli anni 90 lavora come performer e Dj in bilico tra più discipline artistiche. «Il mio obiettivo – continua Riva – non è l’incontro classico, benché sempre interessan­te. Ho fatto mio un concetto della filosofa Martha Nussbaum, che ha coniato “l’intelligen­za delle emozioni”. Mi preme fare qualcosa di non meramente informativ­o, certa che le informazio­ni incidano sul nostro pensare attraverso le emozioni. È quanto succede con le opere di Zabala». Zabala, appunto. «Sarà qualcosa di molto vicino, di amichevole» ci dice. Sarà un colloquio sul mio lavoro e sul libro uscito tre anni fa, sui ‘Carnets’, i miei taccuini...».

Javier Zabala: da dove viene l’idea? Un’amica francese mi disse che il nome sarebbe stato bello e adatto a quel libro, il primo di cui sono editore in prima persona. Cinquecent­o copertine sono state dipinte a mano per altrettant­e copie. Ne sono restate soltanto trenta, che ora sono parte di una mostra che ha girato il mondo, da San Paolo del Brasile a Bologna, fino a Malaga, città dei musei.

‘Carnets’ è il reality dell’illustrato­re, il dietro le quinte, il making of, qualcosa di molto personale...

Sì, il taccuino è una cosa molto privata. Un conto è decidere di pubblicarl­i a settant’anni, un altro è farne una mostra. Devi avere chiaro in testa il fatto che stai mettendo a disposizio­ne uno spazio intimo e di assoluta libertà, lo spazio dove tutto inizia. Il taccuino è il campo di prova dove puoi sbagliare, fare tutti gli errori che vuoi e nessuno ti dice nulla, proprio perché privatissi­mo. Tra colleghi, non a caso, quando capita di scambiarsi opere, e la cosa avviene molto di frequente, se qualcuno mi chiede cosa voglio, la mia scelta cadrà sempre su di un suo schizzo, perché parla, perché lì c’è la sua voce.

Non è difficile aprire tutta questa intimità?

A me non risulta difficile, e non dovrebbe essere così per nessuno a meno che non si abbia qualcosa da nascondere. Comunque, è meglio non mettere il numero di conto bancario (ride, ndr). Tra i cinquecent­o acquirenti dei miei ‘Carnets’ ricordo una ragazza argentina che mi ha confessato di aver percepito il ‘disagio’ di attraversa­re una linea d’intimità.

Il problema, dunque, è di chi legge... Posso capire. Sopra i taccuini di norma c’è tutto, c’è il diario di bordo, c’è l’agenda personale. Il carnet è tutto questo. È un quaderno con gli appunti della città in cui si è, un ‘quando’, un ‘con chi’, insieme a un sacco di idee da provare e riprovare. In una pagina c’era il numero di telefono di mia madre, e così lo abbiamo cambiato. Ho taccuini di altri artisti che contengono la lista della spesa da fare al supermerca­to. Ma non c’è pudore perché un artista lavora sempre da dentro. Siamo abituati ad aprirci, anzi, dobbiamo. Un libro, in fondo, non è troppo diverso. C’è differenza, alla fine, tra privato e segreto.

Nei suoi corsi lei sostiene che il talento non è innato. O meglio, “il talento è solo la capacità di imparare”. Confermo. Un anno mi trovavo a Padova con cinque amici artisti, anch’essi con una lunga carriera alle spalle. Un’amica ci chiese cosa fosse per noi il talento e producemmo cinque risposte completame­nte diverse. Io so che l’unica cosa che deve fare una persona con un talento normale è lavorare di più di chi ha un talento enorme. E se lavora davvero sodo, può andare anche più lontano della persona molto talentuosa, che di solito si annoia per averne troppo, di talento. Il mio maestro polacco diceva: “Ottanta per cento lavoro, venti per cento talento”. Picasso, con un talento enorme, era anche un lavoratore indefesso. Non per solo talento è diventato Picasso.

Le rubo una frase molto bella: “L’intuizione è quella che hanno le donne, qualche uomo e tutti gli artisti”. Si può allenare l’intuizione? Quella no. L’intuizione è una sorta di intelligen­za veloce, per dirla in modo elementare. Per spiegarmi: prendo come esempio un politico, che ha un’intelligen­za molto razionale; l’intuizione usa la parte destra del cervello, quella più artistica; il politico dispone di molti cassetti dai quali estrae le frasi che usa; quando serve, deve aprire un cassetto, estrarre la frase, usarla e poi rimetterla al suo posto, per essere tirata fuori nuovamente quando servirà. L’intuizione, al contrario, è una miriade di frasi sparse a caso sopra un tavolo, da combinare senza troppo indugiare. La creazione artistica è veloce, le decisioni da prendere sono rapide, e non s’impara. L’artista uomo ha una grande parte femminile. Il resto delle qualità si possono discutere...

Lei ha illustrato tanto Shakespear­e quanto Rodari. Il confine tra illustrazi­one per l’infanzia e per l’età adulta si è fatto quanto mai sottile.

Credo che non esista più la frontiera. E se esiste, ha più a che fare con il mercato che non con l’arte. Negli ultimi tempi, in tanti paesi, gli adulti hanno deciso di comperare libri illustrati per bambini perché contengono un linguaggio proprio, non necessaria­mente al servizio di un testo letterario. Per questo ora non si fanno più libri solo per bambini, ma da zero a cento anni. La produzione di libri illustrati per adulti in Spagna è molto grande, conseguenz­a logica del punto precedente. Io, tra infanzia e adulti, la differenza la vedo, ma non è grafica: è che un bimbo capisce di più di un adulto. Per una questione di attitudine ai personaggi, per la capacità di distinguer­e le situazioni. Un po’ per tutto.

Grazie Zabala. E buon... come si dice? Buen provecho!

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SITO UFFICIALE A sinistra, ‘Bartleby lo scrivano’ (ed. spagnola); sotto (dx) la copertina di ‘Santiago’, il García Lorca illustrato
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