Di politica e di strade non prese
Berlinale / Il colpo di scena è un j’accuse fuori concorso al Presidente tedesco ‘Curveball’ accusa Frank-Walter Steinmeier di responsabilità nell’attacco all’Iraq. Ma ci sono anche la parte porno del film dedicato al Nobel russo Landau, la Berlino di Qur
La neve si mischia alla pioggia sotto il plumbeo cielo berlinese e il Festival, dopo il caso Hillary Clinton, si trova a gestire una rogna ben più grave per colpa di un film tedesco presentato fuori competizione: ‘Curveball’ di Johannes Naber, che nei titoli di coda accusa l’attuale Presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier di essere responsabile, in quanto all’epoca dei fatti Ministro degli Esteri della Germania, dell’attacco degli Usa all’Iraq di Saddam Hussein. Il motivo, e il film lo spiega assai bene, erano le armi di distruzione di massa e soprattutto l’arsenale chimico degli Iracheni, obiettivi importanti per la politica dell’attacco, peccato che non ci fossero. E nulla fece, il rappresentante della Germania all’Onu, per bloccare l’iniziativa americana fondata su dati dei servizi segreti tedeschi chiaramente falsi. Nel film incontriamo uno scienziato esperto in antracite chiamato Dr. Wolf (un preciso Sebastian Blomberg); questi viene in contatto con un rifugiato politico diventato informatore privilegiato dai servizi tedeschi dal quale si fa guidare per fornire una piantina dei depositi e del sistema; sembra tutto fatto quando il protagonista scopre che i dati sono falsi e cerca così di bloccare gli agenti americani che intendono valorizzare le prove; non ci riesce per colpa dei suoi superiori, e l’Iraq viene attaccato. E il pubblico è scoppiato in una fragorosa risata vedendo il nome di quel Ministro degli Esteri diventato Presidente nella lista dei colpevoli per una guerra ingiustificata che ha causato centinaia di migliaia di vittime civili. Tutti ora si aspettano una nota del prestigioso uomo politico, e chissà se intende intervenire: l’accusa è grave e certificata. Un buon thriller.
Pubblico imbarazzato
Sempre di politica si occupa in Concorso “DAU. Natasha” del russo Ilya Khrzhanovsky, un film che nasce da un progetto, il DAU, dedicato alla vita nell’Unione Sovietica, una specie di Truman
Show che ha costretto una comunità di volontari a immergersi nel realismo sovietico per tre anni. Dau è il soprannome del russo Lev Landau, premio Nobel per la fisica nel 1962. Ed è a lui, al suo essere provocatoriamente libertino, scienziato vero sempre immerso nel piacere della ricerca e in quello per le donne, che Ilya Khrzhanovsky ha dedicato questo film che non è una biografia, ma parte delle venti ore girate durante i tre anni sovietici. Se la mostra ha provocato polemiche per violenze e abusi sessuali di cui ha trattato, il film ha sbattuto la sua potente parte porno, nella prima metà, davanti a un pubblico imbarazzato che usciva frettoloso, per poi diventare un pesante manifesto contro la violenza dei servizi segreti staliniani con l’annichilimento totale della protagonista (la brava Natalia Berezhnaya), una cameriera dai facili costumi facilmente ricattabile.
Dov’è la metropoli?
Se questo film è parte di un progetto ben più organico, ‘Berlin Alexanderplatz’ di Burhan Qurbani ha da subito dovuto fare i conti con la matrigna figura di Rainer Werner Fassbinder, che partendo sempre dal romanzo di Alfred Döblin, lo portò sul piccolo schermo in quattordici indimenticabili puntate, era il 1980. Ma se Fassbinder rispetta e amplifica la triade metropoli, morte e sessualità a base del romanzo di Döblin, nel film di Qurbani la grande assente è proprio la metropoli, ed è un’assenza basilare, che conduce il film a non superare una romanticheria di base che lo avvelena.
E se in Döblin il personaggio protagonista è il ‘cobra’ Franz Biberkopf, qui il Franz protagonista è un immigrato che per salvarsi in mare condanna a morte la ragazza che lo ama, e che ora cerca un passaporto per avere un’identità. Accetta di diventare un delinquente, ma in un momento drammatico non riesce a rubare, per cui viene condannato a morte dal suo boss che lo scaraventa in mezzo alla strada da un’auto in corsa. Ci rimetterà un braccio, troverà ancora l’amore, lui vende droga lei si prostituisce, lei resta incinta di lui, ma questo provoca l’invidia del boss. Da un mondo d’inferno nasce un fiore sereno. Di buon livello la recitazione di un interessante gruppo di attori: Welket Bungué (Franz), Jella Haase, Albrecht Schuch, Joachim Król. Le tre ore e più del film scorrono veloci e alla fine ci sono gli applausi, meritati.
Amore e Alzheimer
Applausi anche per l’atteso ‘The roads not taken’ di Sally Potter. La regista londinese, che già nel precedente ‘The Party’ aveva affrontato il problema della memoria personale, in questo ‘The roads not taken’ (Le strade non prese) il discorso della memoria, il problema dell’Alzheimer, diventa centrale insieme a quello dell’amore.
La regista ci presenta Leo (un bravissimo Javier Bardem); lo scopriamo a letto, incapace di parlare, confuso, con la testa in viaggio tra i ricordi del Messico con l’appassionata Dolores (una misurata Salma Hayek), sua focosa moglie, poi in Grecia su un’isola a scrivere un romanzo che è incapace di finire perché la mente è stanca. Una badante lo segue come può, con quest’uomo ombroso e silenzioso. Lo viene a trovare sua figlia Molly (una intensa Elle Fanning), frutto dell’ultimo matrimonio fallito con una donna che non frequenta i suoi ricordi. La figlia rinuncia per lui a un importante lavoro, scopre la fragilità di quest’uomo che chiama papà. E dà un senso a quella parola: lo cambia quando si fa la pipì addosso, lo raccoglie in un affetto che sente nuovo a sé stessa. C’è in lei nata una parola nuova: rispetto, e la declina di fronte a quell’uomo che l’aveva privata della sua presenza e che ora s’accorge poco di lei. E lei piange e lui la guarda e non vede.
Sally Potter affonda a piene mani, con immensa e laica pietas, il peso del ricordare, il bisogno di un amore disinteressato, l’essere parenti, come umana e profonda vicinanza. E nel buio senza luce di quell’uomo appare un faro a indicargli, quando può, un vicolo stretto da seguire per uscire un momento dall’imbroglio dei ricordi.