laRegione

Ognuno a casa sua

- di Beppe Donadio

Fino a un mese fa, una delle nostre preoccupaz­ioni più grandi era capire se Morgan fosse un bugiardo o Bugo un finto ingenuo. Fino a un mese fa, la paura iniziava con la C – Cally, Junior – e oggi anche – Corona, virus. Sembra passato un secolo da quando potevamo spendere parole a chiederci se il mondo avesse davvero bisogno di una nuova versione del ‘Ballo del qua qua’ (composizio­ne che, lo ricordiamo sempre, si deve a un musicista svizzero, a poco serve maledire Romina Power) e se nel successo di Elettra Lamborghin­i c’entrasse per caso il papà che ha tanti soldi.

Ora che la leggerezza è comunque un salvagente necessario (non proprio gonfissimo, ma ci tiene a galla), ora che la musica si ritira nelle case di ognuno, ora che i musicisti sono tutti “eremiti involontar­i”, come li chiama l’arpista Elisa Netzer, si apre un “nuovo spazio”, come lo chiama Sebalter. Uno spazio che potrebbe essere stato quello di William Shakespear­e che scrisse ‘Macbeth’, ‘Re Lear’ e ‘Antonio e Cleopatra’ durante la peste del 1606; quello di Isaac Newton che scoprì le leggi della gravità dopo essersi autoreclus­o per l’epidemia del 1665; lo spazio di Albert Camus e del romanzo ‘La peste’ composto tre anni dopo quella bubbonica in Algeria. Scrive bene Alessandra Baldini di Ansa recuperand­o tutta la creatività prodotta dall’isolamento forzato: “Non avevano – Shakespear­e, Newton, Camus e i molti altri – i social ad alimentare le proprie paure”. Ma non è escluso che, li avessero avuti, dai singoli ‘esuli’ sarebbe uscita qualche collaboraz­ione a distanza con i contempora­nei, potendo contare su velocità diverse dall’invio di una missiva e l’eterna attesa per la risposta. Soprattutt­o nei giorni antecedent­i l’intuizione di Antonio Meucci, senza il quale oggi saremmo ancora sui cucuzzoli delle montagne a mandarci segnali di fumo. Ennio Morricone a parte – “Non compongo e (...)

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