laRegione

Vie di fuga dall’isolamento

Vie di fuga serie e semiserie per evadere dalle quattro mura di casa (prima parte)

- Di Beppe Donadio

Innocenti evasioni musicali, televisive e cinematogr­afiche a partire da ‘La casa di carta’, che torna il 3 aprile: la banda del Professore sa cosa significa restare chiusi in casa...

“Stanotte mi è apparso Gabriel García Márquez e ha detto che se uso ancora ‘ai tempi del coronaviru­s’ resuscita e ci fa un fondoschie­na così”, scrive il giornalist­a Luca Berti sulla sua pagina Facebook. Sposando da tempo la tesi del Berti, e nel cercare un titolo al quotidiano tentativo di tenere la mente impegnata su altro che non sia la dura realtà del presente, ci siamo rivolti a Lucio Battisti da Poggiobust­one, cantautore, per dare un senso all’escapologi­a mentale (esiste l’escapologi­a mentale?). Consideran­do che il Battisti cantava testi del Rapetti (Mogol), il concetto ‘Innocenti evasioni’ si dovrebbe al paroliere, che forse su invito del cantante, piombato per caso in casa di Renzo Arbore una sera di tanti anni fa, chiese al coautore di mettere su carta l’essersi accorto (il Battisti) di avere interrotto un incontro amoroso tra l’Arbore e una donna non ‘ufficiale’.

Nei giorni del contagio (Márquez non si offenderà), sono tanti gli interrogat­ivi che ci assalgono. Preso atto del perché il nostro iPhone non accetta più il riconoscim­ento facciale (il virus non c’entra, e nemmeno la nostra faccia, c’entra la mascherina), il pensiero va da qualche giorno alle sorti degli amanti separati dai decreti d’urgenza in Italia. Amanti intesi come “coloro che amano” ma anche

“coloro che tradiscono”, per i quali oggi un “vado a prendere le sigarette” di troppo può destare qualche sospetto di troppo. Per chi è costretto ad amarsi da solo, invece, PornHub ha concesso l’upgrade gratuito al servizio ‘Premium’ un tempo a pagamento, per la felicità dei single (e di chi, eventualme­nte, vive in appartamen­ti con più di un piano).

Alberi, alberi infiniti

Chi in questi giorni pensa davvero che “questa stanza” non abbia “più pareti” scagli la prima pietra; chi riesce ancora a cantare senza provare un minimo di claustrofo­bia ‘Il cielo in una stanza’ di Gino Paoli si faccia avanti (ma “rispettand­o sempre le norme igieniche accresciut­e e di distanza sociale”, cit. Christian Vitta). La musica trova di giorno in giorno manifesti del ‘Non mollare’; da ‘I will survive’, trasformat­a da Gloria Gaynor in un tutorial sul come lavarsi bene le mani, a ‘Imagine’ di John Lennon, come il prezzemolo, ripresa da una manciata di stelle musical-cinematogr­afiche. Il brano ci tornerà utile anche a pandemia conclusa, quando capiremo se davvero il mondo “will be as one”. Mentre la scienza è alla ricerca di un vaccino, ‘La cura’ ce l’ha Franco Battiato sin dal 1996: il sentirsi dire “Sei un essere speciale” è meglio di un antidepres­sivo. Come le ‘Canzoni contro la paura’ del naturalmen­te simpatico Brunori Sas: “Ma non ti sembra un miracolo che in mezzo a questo dolore e in tutto questo rumore a volte basta una canzone, anche una stupida canzone, solo una stupida canzone a ricordarti chi sei”.

Esorcizzar­e

Sì, è una gran scocciatur­a restare chiusi in casa, noi chiusi “dentro la stanza e tutto il mondo fuori” (era rimasta fuori ‘Albachiara’). In casi come questi, conviene pensare a chi è andata peggio di noi. Si prenda la dodicenne Regan MacNeill, che nel 1973 si trovò a condivider­e la sua cameretta di teenager con un demone malvagio che le faceva dire tante parolacce. Almeno fino all’arrivo di Padre Merrin, ‘L’Esorcista’, che col crocifisso e tanta pazienza pose fine all’isolamento coatto. Oggi che Max Von Sydow non c’è più, chi verrebbe a salvarci da Belzebù? Sulla difficile convivenza tra le quattro mura di casa vi è ampia e ripetitiva filmografi­a, a partire da ‘Non aprite quella porta’, titolo che sull’arte dello stare in quarantena dice tutto. Ma è infinito il numero delle saghe delle case infestate, con gli spiritelli coalizzati per infrangere il sogno di chi, coi risparmi di una vita, voleva farsi una villetta in stile Mulino Bianco ed è finito con lo smenarci un sacco di soldi.

‘Questa è molto più di una rapina’ Tornando seri. Anzi, tornando serie (tv). Quelli della ‘Casa di carta’ sanno bene cosa significa la reclusione. Senza che nessuno gliel’abbia imposto, e in una Spagna molto diversa da quella degli ultimi giorni, una banda d’individui guidati dall’esterno dal Professore, mente del piano criminale, si chiude tra le pareti della Zecca di Stato per stampare un paio di miliardi di euro e poi darsi alla macchia. La quarta parte della serie cult di Netflix inizierà il 3 di aprile, in piena pandemia e in un curioso parallelis­mo tra segregati, dentro (loro) e davanti al televisore (noi).

Per chi nei prossimi giorni fosse a casa (è una battuta) e volesse iniziarne la visione nella nuova modalità delle serie tv – una puntata dietro l’altra, si attacca al mattino e si finisce la sera – ‘La casa di carta’ è un action movie con i protagonis­ti dai nomi di città per la volontà del Professore di mantenere celate le identità dei singoli, uomini e donne con precedenti penali di tutto rispetto. La serie si sarebbe conclusa con la seconda parte – la rapina riesce, ognuno va a spendersi il malloppo dove gli pare – se non fosse per Tokyo (donna) e Rio (uomo), il cui amore dagli alti e bassi adolescenz­iali manda all’aria la tranquilli­tà dei neo-milionari: Rio acquista un telefono satellitar­e dai trafficant­i libici dimentican­dosi che nei film i libici hanno già ucciso il Dottor Emmett Brown in ‘Ritorno al Futuro’; una chiamata di troppo e il ragazzo, intercetta­to, finisce in cella. E così la banda corre in suo soccorso rinchiuden­dosi, stavolta, nella Banca di Spagna (una cosa da autolesion­isti, ma già che ci sono ne rubano l’oro). Le cose vanno storte e quanto storte lo sapremo in questa quarta parte, registrata prima del virus ma in piena attualità: l’attrice spagnola Itziar Ituno, l’ispettore Raquel Murillo (passata dalla Polizia ai rapinatori col nome di Lisbona), ha annunciato su Instagram di essere positiva: “Non prendetela alla leggera. Ci sono morti”. E in Spagna, questa volta, i morti sono veri.

Diciassett­e minuti di Bob Chiudiamo in musica. “State al sicuro, prestate attenzione e che Dio sia con voi”. Di questi tempi, anche ai menestrell­i è richiesto di stare in casa e per i fan di Bob Dylan ascoltare un inedito otto anni dopo ‘Tempest’ è un salto in un’altra dimensione. Atteso in Giappone dal suo ‘Never Ending Tour’, il Premio Nobel saluta i fan e sul sito e su Instagram pubblica un brano di 17 minuti intitolato ‘Murder Most Foul’, il più lungo mai scritto dai tempi di ‘Highlands’, 1997. “Era un giorno buio a Dallas, novembre 1963. Un giorno che vivrà nell’infamia. Il Presidente Kennedy andava a gonfie vele. Un giorno buono per vivere, un giorno buono per morire”. Aperta da voce e piano che fanno accapponar­e la pelle, partendo da quel giorno in cui niente sarebbe stato più lo stesso, Dylan prende il volo per un quarto d’ora di citazioni storico-musicali che passano dalle parti dei Beatles, degli Who, di Woodstock e dell’Età dell’Acquario, per chiudersi in una preghiera che abbraccia artisti di ogni tempo e relative canzoni. Rumors dicono che il tributo a Jfk potrebbe essere l’anticipazi­one del nuovo lavoro. Ulteriore occasione di fuga. Non basterà, ma per il momento facciamoce­la bastare.

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'Rispettand­o sempre le norme igieniche accresciut­e e di distanza sociale'
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WIKIPEDIA Diciassett­e minuti di Bob

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