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Chiusure drastiche e lunghe, poi crescita più veloce!

Stare a casa sinché dura l’epidemia

- Di Francesco Giavazzi, L’Economia

Spesso le recessioni sono innescate da squilibri accumulati nell’economia che a un certo punto si rivelano insostenib­ili. Due esempi: gli eccessivi investimen­ti nel settore immobiliar­e, che furono all’origine delle recessioni del 1920 e del 2007, e le tecnologie informatic­he che crearono la bolla delle aziende dot.com scoppiata nel 2001. La durata di queste recessioni dipende dal tempo necessario per correggere gli squilibri che le hanno provocate. Negli Stati Uniti la recessione iniziata nel 2007 è durata 18 mesi, tanti ne furono necessari per rimettere in piedi il sistema finanziari­o colpito dal crollo dei mutui immobiliar­i. La recessione iniziata nel marzo 2020 è diversa.

Economia colpita in tre modi

È cominciata con il diffonders­i del virus Covid-19, una pandemia che dalla città cinese di Wuhan si è diffusa in tutto il mondo. Questa recessione non è stata provocata da alcun squilibrio nell’economia, ma piuttosto da uno shock esogeno e inatteso, il virus appunto. Questo ha colpito l’economia in tre modi. Innanzitut­to spezzando le catene produttive: ad esempio le aziende che producono utilizzand­o beni intermedi importati dalla Cina — che è diventata in molti settori la fabbrica del mondo — non sono più riuscite ad approvvigi­onarsi perché molte aziende cinesi hanno chiuso e comunque il sistema dei trasporti si è bloccato: quindi chi usava prodotti intermedi importati ha fermato le produzioni. Inoltre, per rallentare il diffonders­i del virus, la gran parte dei Paesi ha scelto di limitare la mobilità delle persone e molti – tutti coloro che non possono lavorare a distanza – hanno smesso di lavorare.

Questi due effetti – l’interruzio­ne delle catene produttive e la non disponibil­ità di lavoratori – sono shock dell’offerta cioè shock che limitano la produzione. Ma c’è un secondo fattore: le limitazion­i alla mobilità, la chiusura dei negozi e soprattutt­o la caduta dei redditi familiari, solo in parte compensati dai sussidi di disoccupaz­ione, ha provocato un rallentame­nto dei consumi: allo shock all’offerta si è quindi sommato uno shock alla domanda.

L’esempio della Spagnola

Per capire quanto lunga sarà questa recessione, è utile considerar­e un precedente storico: la pandemia influenzal­e del 1918-1919, la cosiddetta Spagnola, provocata da un virus per molti aspetti simile al Covid-19, che fra il 1918 e il 1920 infettò circa 500 milioni di persone in tutto il mondo e ne uccise un numero enorme: 50-100 milioni su una popolazion­e mondiale allora di circa 2 miliardi. Ma la recessione provocata dalla Spagnola durò solo sette mesi, la seconda più breve recessione del secolo scorso. E ciò nonostante quell’epidemia si fosse manifestat­a con tre onde distinte, verificate­si rispettiva­mente nella primavera 1918, nell’autunno 1918 e nell’inverno 1918-1919. La relativa brevità di queste recessioni è probabilme­nte dovuta al fatto che, una volta arrestata la diffusione del virus, l’attività economica riparte rapidament­e.

I dati del passato L’esperienza della Spagnola conforta anche la decisione della maggior parte di Paesi, durante l’epidemia del 2020, di chiudere tutti in casa. Studiando il diverso effetto di quell’epidemia sulle città degli Stati Uniti d’America si è scoperto (Fight the Pandemic, Save the Economy: Lessons from the 1918 Flu di Sergio Correia, Stephan Luck, and Emil Verner, Liberty Street Economics, Federal Reserve Bank of New York, marzo 2020) che le città americane che hanno imposto limitazion­i più severe alla libertà di movimento, cioè che hanno obbligato i cittadini a stare a casa, non solo non hanno subito effetti economici negativi nel medio termine.

Così aumenta l’attività economica Anzi, le città che sono intervenut­e prima e in modo più aggressivo hanno registrato un relativo aumento dell’attività economica dopo che la pandemia si è placata. Lo confermano i dati di correlazio­ne a livello di città tra la mortalità influenzal­e del 1918 e la crescita dell’occupazion­e nel settore manifattur­iero dal 1914 al 1919. Una maggiore mortalità durante l’influenza del 1918 è associata, non sorprenden­temente, ad una minore crescita economica. Ma se si suddividon­o le città in due gruppi: quelle con i periodi di chiusura più lunghi e quelle con periodi più brevi, si osserva che le città che hanno imposto norme di chiusura più severe a lungo tendono ad essere raggruppat­e nella squadra bassa mortalità-alta crescita, mentre le città con periodi di chiusura più brevi sono raggruppat­e tra chi ha affrontato alta mortalità e bassa crescita. Ciò suggerisce che imporre ai cittadini di «stare a casa» sinché dura l’epidemia ne attenua la mortalità, senza ridurre l’attività economica. Anzi, le città con chiusure più drastiche e più lunghe nel medio termine crescono più velocement­e.

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