laRegione

Dei treni e del silenzio

Il vuoto dei vagoni, delle stazioni, i binari spogli dal viavai. Come spiagge di fine estate.

- Di Massimo Daviddi

Poco distante da dove abito, in una strada secondaria che porta verso San Martino, a Mendrisio, con la mascherina mi siedo poco distante dal passaggio dei treni, una posizione rialzata e sicura a più di cento metri dai binari. Sono solo. Le corse dimezzate, il ritmo verso nord o sud, lento, così l’attenzione va sui fili elettrici, le postazioni a terra e al Monte San Giorgio, custode di un tempo remoto eppure vivo, presente. Un signore porta a spasso un cane, segue il sentiero sterrato che alla fine tocca Riva San Vitale; si ferma, riparte. Ho pensato a un altro cane, quello che di solito abbaia quando passo in bicicletta e che oggi mi ha solo guardato.

Perché? Gli scompartim­enti sono vuoti e in quei pochi secondi dove l’immagine fa di sé un simulacro moderno, apparenza tanto reale da creare uno stacco con la stessa realtà, si avverte la metamorfos­i che il treno incarna nel suo essere disabitato, struttura allineata con altre tecnologie, quelle che al più alto grado risveglian­o un ‘io pensante’ che soffre, ama, ricerca.

Lo racconta Ian McEwan in ‘Macchine come me’, il suo ultimo, intenso, lavoro. Quale sguardo, ora che uomini e donne stanno per conoscere una moltitudin­e di emozioni disperse nel caos che sopraggiun­ge e sommerge? A tessere sparse vedo scie luminose, numeri, scritte sulle fiancate, le sagome colorate dei sedili; torno a guardare come un bambino le cose non solo per quello che sono ma per ciò che gli effetti di un’immaginazi­one allo stato puro, intravedon­o. Un gioco di forme, la visualità che cerca di tenere insieme oggetti lontani creando associazio­ni, parentele, quel gioco che ci trasmettev­a il bello dell’incompiute­zza e del desiderio. L’assenza di fini, l’indetermin­ato. L’albero che non è albero, ma respiro, direzione e destino, un atto di libertà per dirla con Paul Celan.

Se tutto tace

Cos’è oggi, quella macchina che ogni giorno accoglieva migliaia di persone sedute con i loro telefonini, i giornali, le parole dette, la promessa di un ritorno condiviso, se tutto tace? Forse non lo sappiamo, restiamo increduli a osservare ciò che abbiamo fatto, costruito, voluto, se per un motivo qualsiasi ne restiamo fuori. Il vuoto dei vagoni, delle stazioni, i binari spogli dal viavai, sono architettu­re che danno l’idea di una spiaggia a fine estate, il bagnino nella sua ultima levata di ombrelloni e sdraio, un asciugaman­o perso nel vento. Una stagione che va finendo, un’epoca che finisce. Allora, mentre guardo là sotto, penso al romanzo di Georges Simenon, ‘L’uomo che guardava passare i treni’, un modo di vivere che come questi lunghi intervalli diventa urgenza di un grido, di una ribellione. Di un pensiero assente quanto presente – ricordando Maurice Blanchot – lasciandol­o dove è per essere libero.

Esplorare, è accettare di essere in nessun luogo e per questo sentire che il transito è in qualche modo il nostro destino; passare una mezza giornata, qui, è variante che morde l’anima. Ci illuminiam­o nel momento del vuoto. Dei distacchi. Questo vuoto lo penso quale silenzio, un silenzio che è sempre stato tra noi e che noi, distratti, avevamo perso. Non solo, come spesso si dice, assenza di rumore o di parole eccessive, piuttosto capacità di stare nel mistero della vita, il ‘rombo lontano del tuono a un picnic’, scrive Auden. Essere all’ascolto del silenzio è spartire col mondo una corrispond­enza antica, l’oblio e il ricordo, ‘le maree che ci trascinano verso il cuore della notte’. Al momento non c’è forza consolator­ia, significat­o che fuori dal tema del limite possa trovare spazio: la vita è oltre noi, per questo nei momenti più difficili cerchiamo di tornare alle domande, all’attesa che chiama e risveglia. Se provvisto di penna e taccuino il signore che guarda passare i treni avrebbe tentato di disegnare i volti assenti, la loro carnagione, gli abiti, l’onda che ogni giorno si perde nel tramestio che conosciamo, rapido, molecolare. E se ne fosse capace, gli appunti potrebbero essere il primo atto di uno spettacolo fatto con attori di strada e con pochi mezzi. Ci vorrebbe poi un titolo, ma per questo c’è tempo.

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TI-PRESS Architettu­re
 ?? TI-PRESS ?? 'Il ritmo verso nord o sud’
TI-PRESS 'Il ritmo verso nord o sud’

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