Oro ricercatissimo, ma raffinazione ferma
Gran parte delle attività di raffinazione in Ticino è temporaneamente bloccata. Per ora.
Le principali raffinerie di oro si trovano in Ticino. In queste settimane di fermo quasi assoluto delle attività economiche, la raffinazione è ai minimi termini. Ma non è questo a spingere il prezzo.
Èun riflesso pavloviano apparentemente ineliminabile: non appena si inizia a temere un collasso dei mercati, ci si fionda tutti sull’oro. Un solido lingotto più duraturo di qualsiasi istituzione – finanziaria e non – pare l’antidoto ideale alla minaccia impalpabile d’un virus. Per questo, nelle ultime settimane la “barbara reliquia” è arrivata anche a superare i 50mila dollari al chilo, oltre il 20% in più rispetto a un anno fa. Lo stesso spostamento registrato, in negativo, dai mercati. Potrebbe salire ancora, sebbene a scoraggiare ulteriori impennate ci sia il fatto che le banche restano solide e attive nel ruolo di ‘pompieri’. A ogni buon conto, da qualche settimana «le mascherine, i disinfettanti per le mani, la carta igienica e i lingotti hanno qualcosa di nuovo in comune», come ha detto a Bloomberg Vincent Tie, manager di una società di Singapore specializzata nella compravendita di metalli preziosi. Sono tutti beni rifugio.
Tutto fermo
Il problema è che oggi quell’oro non può muoversi dai caveau, dalle raffinerie o dalle viscere della terra nelle quali si trova. «È importante sottolineare che non vi è di per sé carenza di oro nel mondo. La situazione attuale genera più che altro difficoltà di approvvigionamento. A monte della catena, molte miniere sono chiuse o lavorano a regime ridotto. Il sistema logistico mondiale, pensiamo ad esempio ai trasporti, è fortemente perturbato. C’è poi la chiusura totale o parziale delle raffinerie e questo non solo in Ticino. Di riflesso, a valle della catena, vi è quindi un prolungamento dei tempi di consegna», spiega Christoph Wild, Ceo della raffineria Argor-Heraeus di Mendrisio.
Argor e Valcambi, due delle tre raffinerie ticinesi, sono chiuse. La terza, Pamp, lavora ancora, seppure «a meno del 50% della nostra capacità produttiva. Abbiamo infatti richiesto e ottenuto dalle autorità l’autorizzazione a riprendere le attività», ci ha scritto la Ceo Nadia Haroun; «questo in ragione dell’impatto economico che una chiusura prolungata avrebbe avuto per la nostra azienda, e di impegni che avevamo preso in precedenza». Haroun assicura comunque di aver «potuto dimostrare come le misure che avevamo già messo in atto nelle scorse settimane siano idonee a tutelare la salute e la sicurezza dei nostri collaboratori, che rimane comunque di primaria importanza». Il tutto riorganizzando i turni e garantendo distanze e misure di sicurezza.
In ogni caso, visto che è dal Ticino che passa la maggior parte dell’oro lavorato a livello mondiale, l’imbuto logistico costituito da chiusure e lavoro ridotto si è fatto sentire. Anche se è bene essere precisi: «La chiusura degli impianti non costituisce la principale causa dell’aumento del prezzo dell’oro: lo si può sempre comprare adesso concordando una consegna futura», sottolinea Michael Mesaric, Ceo della raffineria Valcambi di Balerna. Però anche la mancata consegna fisica contribuisce a scombussolare i mercati, in particolare generando incoerenze tra il prezzo dell’oro ‘pronta consegna’ e quello scambiato solo sulla carta, nel mercato dei ‘future’ che anche chi vorrebbe ora il suo lingotto si trova costretto a rinnovare. Aumentandone così il differenziale – il famoso spread – rispetto al prosciugato mercato del ‘qui e ora’: «Vale il principio della domanda e dell’offerta. Vi è attualmente una scarsità di offerta, legata ai problemi di approvvigionamento menzionati, a fronte di una forte domanda, ad esempio di lingotti. Questo genera di conseguenza un aumento del differenziale», chiosa Wild.
A preoccupare i manager, però, è anzitutto l’impatto economico per le imprese, nonostante i piani di contingenza e le indennità di lavoro ridotto. «I costi generati dalla situazione attuale sono altissimi. Va detto che aziende operanti nel nostro settore non potranno sostenere tale onere a lungo termine. Riteniamo però che quale azienda responsabile siamo tenuti, non trattando beni di prima necessità, ad adeguarci alle decisioni, da noi supportate, prese dalle autorità», prosegue Wild: «Si parla spesso di responsabilità sociale delle imprese. Per noi non è solo questione di belle parole, ma di scelte concrete».
Forse si riparte
Argor e Valcambi prendono comunque in considerazione l’ipotesi di riprendere il lavoro a breve, almeno in forma ridotta, con speciali autorizzazioni. Ma solo «in base all’evoluzione della situazione e alle decisioni dei governi cantonale e federale», così Wild di Argor. Mesaric di Valcambi spera che si creino le condizioni per «produrre almeno parte dei lingotti richiesti dal mercato.
Questo ci permetterebbe anche di pesare meno sulle casse del Cantone in termini di indennità di lavoro ridotto». Quanto alla durata di questa corsa all’oro, Mesaric avanza alcuni dubbi: «La gente è nervosa, e oggigiorno pare volere più oro in forma fisica», ma «questa tendenza potrebbe affievolirsi nelle prossime settimane, man mano che le persone capiranno che la loro priorità è la liquidità, non l’o ro : basti pensare a coloro che perderanno l’impiego o dovranno affrontare una chiusura prolungata dei loro esercizi. Queste persone potrebbero addirittura vendere il loro oro per ottenere denaro liquido». Ma neanche la fila di chi porta orologi e catenine al compro oro è un gran bello scenario.