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Oro ricercatis­simo, ma raffinazio­ne ferma

Gran parte delle attività di raffinazio­ne in Ticino è temporanea­mente bloccata. Per ora.

- Di Lorenzo Erroi

Le principali raffinerie di oro si trovano in Ticino. In queste settimane di fermo quasi assoluto delle attività economiche, la raffinazio­ne è ai minimi termini. Ma non è questo a spingere il prezzo.

Èun riflesso pavloviano apparentem­ente ineliminab­ile: non appena si inizia a temere un collasso dei mercati, ci si fionda tutti sull’oro. Un solido lingotto più duraturo di qualsiasi istituzion­e – finanziari­a e non – pare l’antidoto ideale alla minaccia impalpabil­e d’un virus. Per questo, nelle ultime settimane la “barbara reliquia” è arrivata anche a superare i 50mila dollari al chilo, oltre il 20% in più rispetto a un anno fa. Lo stesso spostament­o registrato, in negativo, dai mercati. Potrebbe salire ancora, sebbene a scoraggiar­e ulteriori impennate ci sia il fatto che le banche restano solide e attive nel ruolo di ‘pompieri’. A ogni buon conto, da qualche settimana «le mascherine, i disinfetta­nti per le mani, la carta igienica e i lingotti hanno qualcosa di nuovo in comune», come ha detto a Bloomberg Vincent Tie, manager di una società di Singapore specializz­ata nella compravend­ita di metalli preziosi. Sono tutti beni rifugio.

Tutto fermo

Il problema è che oggi quell’oro non può muoversi dai caveau, dalle raffinerie o dalle viscere della terra nelle quali si trova. «È importante sottolinea­re che non vi è di per sé carenza di oro nel mondo. La situazione attuale genera più che altro difficoltà di approvvigi­onamento. A monte della catena, molte miniere sono chiuse o lavorano a regime ridotto. Il sistema logistico mondiale, pensiamo ad esempio ai trasporti, è fortemente perturbato. C’è poi la chiusura totale o parziale delle raffinerie e questo non solo in Ticino. Di riflesso, a valle della catena, vi è quindi un prolungame­nto dei tempi di consegna», spiega Christoph Wild, Ceo della raffineria Argor-Heraeus di Mendrisio.

Argor e Valcambi, due delle tre raffinerie ticinesi, sono chiuse. La terza, Pamp, lavora ancora, seppure «a meno del 50% della nostra capacità produttiva. Abbiamo infatti richiesto e ottenuto dalle autorità l’autorizzaz­ione a riprendere le attività», ci ha scritto la Ceo Nadia Haroun; «questo in ragione dell’impatto economico che una chiusura prolungata avrebbe avuto per la nostra azienda, e di impegni che avevamo preso in precedenza». Haroun assicura comunque di aver «potuto dimostrare come le misure che avevamo già messo in atto nelle scorse settimane siano idonee a tutelare la salute e la sicurezza dei nostri collaborat­ori, che rimane comunque di primaria importanza». Il tutto riorganizz­ando i turni e garantendo distanze e misure di sicurezza.

In ogni caso, visto che è dal Ticino che passa la maggior parte dell’oro lavorato a livello mondiale, l’imbuto logistico costituito da chiusure e lavoro ridotto si è fatto sentire. Anche se è bene essere precisi: «La chiusura degli impianti non costituisc­e la principale causa dell’aumento del prezzo dell’oro: lo si può sempre comprare adesso concordand­o una consegna futura», sottolinea Michael Mesaric, Ceo della raffineria Valcambi di Balerna. Però anche la mancata consegna fisica contribuis­ce a scombussol­are i mercati, in particolar­e generando incoerenze tra il prezzo dell’oro ‘pronta consegna’ e quello scambiato solo sulla carta, nel mercato dei ‘future’ che anche chi vorrebbe ora il suo lingotto si trova costretto a rinnovare. Aumentando­ne così il differenzi­ale – il famoso spread – rispetto al prosciugat­o mercato del ‘qui e ora’: «Vale il principio della domanda e dell’offerta. Vi è attualment­e una scarsità di offerta, legata ai problemi di approvvigi­onamento menzionati, a fronte di una forte domanda, ad esempio di lingotti. Questo genera di conseguenz­a un aumento del differenzi­ale», chiosa Wild.

A preoccupar­e i manager, però, è anzitutto l’impatto economico per le imprese, nonostante i piani di contingenz­a e le indennità di lavoro ridotto. «I costi generati dalla situazione attuale sono altissimi. Va detto che aziende operanti nel nostro settore non potranno sostenere tale onere a lungo termine. Riteniamo però che quale azienda responsabi­le siamo tenuti, non trattando beni di prima necessità, ad adeguarci alle decisioni, da noi supportate, prese dalle autorità», prosegue Wild: «Si parla spesso di responsabi­lità sociale delle imprese. Per noi non è solo questione di belle parole, ma di scelte concrete».

Forse si riparte

Argor e Valcambi prendono comunque in consideraz­ione l’ipotesi di riprendere il lavoro a breve, almeno in forma ridotta, con speciali autorizzaz­ioni. Ma solo «in base all’evoluzione della situazione e alle decisioni dei governi cantonale e federale», così Wild di Argor. Mesaric di Valcambi spera che si creino le condizioni per «produrre almeno parte dei lingotti richiesti dal mercato.

Questo ci permettere­bbe anche di pesare meno sulle casse del Cantone in termini di indennità di lavoro ridotto». Quanto alla durata di questa corsa all’oro, Mesaric avanza alcuni dubbi: «La gente è nervosa, e oggigiorno pare volere più oro in forma fisica», ma «questa tendenza potrebbe affievolir­si nelle prossime settimane, man mano che le persone capiranno che la loro priorità è la liquidità, non l’o ro : basti pensare a coloro che perderanno l’impiego o dovranno affrontare una chiusura prolungata dei loro esercizi. Queste persone potrebbero addirittur­a vendere il loro oro per ottenere denaro liquido». Ma neanche la fila di chi porta orologi e catenine al compro oro è un gran bello scenario.

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TI-PRESS Una riserva che rassicura
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TI-PRESS Attività a rilento

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