laRegione

I rivoluzion­ari in salotto

- di Orazio Martinetti, storico

Lo sciame epidemico in corso ha rinchiuso un’intera generazion­e tra le pareti di casa. Tutti agli arresti domiciliar­i, per la sola colpa di aver superato la soglia fatidica dei 65 anni. Che è poi la soglia che sancisce, almeno per i maschi, l’ingresso ufficiale nell’Avs, l’incerto e un po’ purgatoria­le mondo della “vecchiaia” e dei “superstiti”. Ogni generazion­e porta con sé un patrimonio di conoscenze ed esperienze, ed anche un più o meno ricco bagaglio di eventi traumatici. Ma questa che intendiamo illustrare, accostatas­i alla politica grosso modo tra il 1965 e il 1975, dalle mobilitazi­oni antiatomic­he alla dittatura di Pinochet, è una generazion­e che porta nel suo corredo genetico uno spirito ribelle: l’anti-autoritari­smo, la contestazi­one, la protesta, il femminismo, il terzomondi­smo. Il punto di svolta fu ovviamente il ’68, l’anno della rivolta studentesc­a che si diffuse negli Stati Uniti e nella vecchia Europa con la rapidità di una miccia accesa. Echi e slogan battaglier­i giunsero anche in Ticino, in particolar­e tra gli alunni della (...)

(...) Magistrale di Locarno, stanchi di dover assorbire modelli educativi superati, non più sostenuti dalla moderna pedagogia. Seguirono mesi di dibattiti infuocati sui quotidiani e in parlamento, tra chi mostrava comprensio­ne e chi invece rifiutava ogni dialogo con quella masnada di esagitati. Anche nei partiti c’era fermento, soprattutt­o nelle file dei conservato­ri e dei socialisti. I cattolici non potevano ignorare le innovazion­i proposte dal Concilio Vaticano II e le suggestion­i di modelli alternativ­i come quelli proposti dalla Scuola di Barbiana diretta da don Milani; la discordia regnava invece sovrana tra i socialisti, in particolar­e tra la vecchia guardia e la fronda giovanile che nel 1965 aveva varato un nuovo periodico, ‘Politica Nuova’. Più quieti i giovani liberali, poco inclini a dissentire per indole e vicinanza alle centrali del potere. «Formidabil­i quegli anni», li ha definiti Mario Capanna, uno dei leader del movimento milanese. Un giudizio che non tutti i reduci condividon­o. Ma è certo che il ’68 non fu un anno qualunque: troppe le speranze e le delusioni che si addensaron­o in quei mesi, esplodendo in tempeste emotive: le manifestaz­ioni di piazza, l’euforia delle folle, ma anche la violenza, gli assassini

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