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In diversi Paesi si pensa alla ‘fase 2’

- Ansa/Red

Mentre lo tsunami del coronaviru­s ha raggiunto con la sua massima violenza d’urto gli Stati Uniti, l’Europa – finora la più colpita in termini di vite umane, con 50’000 morti su un totale globale di 70’000 – inizia a vedere qualche timido segnale incoraggia­nte e può cominciare a pensare a come e quando ripartire con la ‘fase 2’. Allentando blocchi e riaprendo fabbriche e negozi come deciso dall’Austria, la prima ad annunciare un parziale ritorno alla normalità. Anche perché l’onda lunga che ha travolto il continente sta lasciando macerie dove prima c’erano economie solide e nei governi europei si fa sempre più strada la consapevol­ezza che un lockdown prolungato avrebbe effetti ancor più deleteri a livello sociale.

L’esempio cui si guarda con speranza è quello di Wuhan in Cina, primo focolaio della pandemia e dove ora sono ripartite oltre il 90% delle imprese. Anche se nel mondo c’è ancora chi potrebbe avere il peggio davanti a sé, come il Giappone, costretto a dichiarare lo stato d’emergenza dopo l’espansione a ritmo sempre più allarmante del virus, in particolar­e a Tokyo. O come la Svezia, finora andata controcorr­ente con misure molto rilassate ma che di fronte all’aumento dei contagi potrebbe essere costretta a sua volta al lockdown. Il governo si prepara all’eventualit­à chiedendo poteri speciali per tre mesi mentre Stoccolma si attrezza con un ospedale da campo da 600 posti per alleggerir­e la situazione della capitale, dove c’è stata la metà dei 400 decessi registrati nel Paese e dove ancora nel weekend le strade erano piene di persone in giro a fare shopping.

Tra chi invece guarda già alla ripartenza – pur sempre con il timore di una possibile seconda ondata – i primi a rompere gli indugi sono stati gli austriaci: il governo del cancellier­e Sebastian Kurz, che aveva introdotto uno dei blocchi più severi nel continente, ha ora annunciato di voler ammorbidir­e le misure. Dopo Pasqua, dal 14 aprile, riaprirann­o i parchi pubblici e, a tappe successive, i negozi: prima i più piccoli, da maggio tutti. Anche in Spagna, il Paese europeo più colpito dopo l’Italia, si pensa a come riavviare il motore del Paese mandato in panne dall’epidemia. I dati sono incoraggia­nti: i morti per coronaviru­s sono calati per il quarto giorno consecutiv­o e i ricoveri in terapia intensiva non aumentano più ai ritmi dei giorni scorsi. Il governo ha già messo in campo da giorni un team di esperti per preparare la deescalati­on dell’emergenza, che scatterà una volta abbassata la curva dei contagi.

In Francia la priorità delle autorità rimane il confinamen­to, arrivato alla quarta settimana, con la speranza che anche lì si confermino i primi segni di una frenata dell’epidemia. Gli ospedali hanno registrato domenica il numero più basso di morti dal 29 marzo e c’è un rallentame­nto negli accessi alle terapie intensive. A Parigi gli addetti ai lavori possono dunque iniziare a ragionare su forme di confinamen­to più articolate, che tengano conto dell’immunità acquisita o dell’età, per far tornare alla normalità il maggior numero di persone possibile.

In Germania la cancellier­a Angela Merkel non ha voluto fissare una data prestabili­ta per annullare le misure di contenimen­to ma c’è già un elenco di possibili iniziative stilate dal Ministero dell’interno che un domani – a Berlino si spera il prima possibile – dovrebbero consentire alla vita di tornare alla normalità. Tra queste l’obbligo di indossare mascherine in pubblico, limiti agli assembrame­nti e meccanismi per rintraccia­re con rapidità le catene di infezione. La strada che faticosame­nte, un po’ dappertutt­o, si cerca di trovare per evitare che dall’epidemia si passi in poco tempo alla carestia.

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