‘Mantenerli? Conviene anche ai datori’
Xavier Daniel (Ocst) spiega i timori dei salariati
Come comportarsi con le disdette ordinarie motivate dal Covid-19? E ancora: un datore di lavoro è tenuto a pagare il salario se la sua attività è stata sospesa per decisione dell’autorità cantonale o federale e se i suoi dipendenti non hanno diritto al lavoro ridotto? Sono queste le domande principali su cui si sta concentrando l’Ufficio di assistenza giuridica e legale del sindacato Ocst. E le risposte convergono verso un’unica direzione: «Mantenere i posti di lavoro conviene anche ai datori, pure dal lato economico». Lo spiega a ‘laRegione’ il responsabile del servizio, Xavier Daniel. Sono quindi motivate le disdette, o i licenziamenti, che hanno come causa il virus? «A nostro modo di vedere sono abusive», risponde. E spiega: «Esempio, un igienista dentario che guadagna 5’000 franchi al mese lordi e che ha più di un anno di lavoro alle spalle. Ha diritto, quindi, a due mesi di disdetta ordinaria. In questo caso – continua – un datore di lavoro che licenzia dei dipendenti non potrà beneficiare dell’indennità di lavoro ridotto e si troverà costretto a dover corrispondere l’integralità dello stipendio». Considerati i due mesi di disdetta, sono 10mila franchi. Se non lo avesse licenziato? «Il datore di lavoro avrebbe dovuto farsi unicamente carico della sua parte di trattenute, circa il 20% del salario lordo, ovvero 1’000 franchi al mese, per il resto il dipendente sarebbe stato indennizzato con il lavoro ridotto. A fronte di 10mila franchi di salario, potenzialmente, il datore avrebbe potuto tenerlo in regime di lavoro ridotto per ben 10 mesi, quindi il risparmio non esiste». Ma c’è un altro motivo importante: «È bene essere lungimiranti. Quando tutto tornerà a girare, la ripresa sarà forte. Se invece l’autorità ponesse dei paletti per limitare i movimenti, e quindi un dentista, o un bar, o un ristorante dovessero continuare a confrontarsi con una riduzione del lavoro, beh, potranno rinnovare la richiesta di indennità di lavoro ridotto». E, arrivando al secondo tema, se una ditta vede la propria attività bloccata e non vuole più pagare il salario ai dipendenti che si trovano in regime di disdetta? «Contrariamente al primo caso qui di giurisprudenza e di dottrina ce n’è, ma una premessa è d’obbligo: non biasimo un datore di lavoro che si fa prendere dal panico, però occorre agire con responsabilità». Ecco spiegato perché: «Prendiamo il caso di un dipendente over 55 attivo nell’edilizia e che si è visto notificare una disdetta durante il mese di gennaio. Ebbene, la sua disdetta sarà effettiva a partire dal 30 giugno». Da una parte «c’è l’articolo 119 del Codice delle obbligazioni, cui si appoggia chi sostiene che il salario non è più dovuto perché si è in presenza di un evento straordinario». Ma dall’altra ci sono pareri «supportati dalla Segreteria di Stato dell’economia che dicono sia preminente l’articolo 324, secondo il quale il datore di lavoro si fa integralmente carico del rischio imprenditoriale». Pareri contrastanti, «ma la Seco ha espresso il suo parere, e un po’ di dottrina c’è». Il problema, qui, è che si rischierebbero anni di cause in tribunale: «La Seco dice chiaramente che se un datore di lavoro non vuole pagare, il dipendente potrà esigere il pagamento immediato dello stipendio arretrato che, se non dovesse essere pagato dal datore, gli permetterà di rivolgersi alla cassa disoccupazione chiedendo un anticipo delle sue indennità. Un diritto fondato sull’articolo 29 della Legge sull’assicurazione contro la disoccupazione. A questo punto la cassa disoccupazione richiederà il pagamento del dovuto al datore di lavoro, rivolgendosi, se necessario, alle competenti autorità giudiziarie. Secondo noi, le possibilità che la causa venga accolta dai giudici sono buone». La soluzione? «Il Consiglio federale dovrebbe seriamente riflettere sulla possibilità di concedere degli aiuti a fondo perso per queste situazioni limite, verificando ovviamente che le disdette siano precedenti all’emergenza coronavirus. Le associazioni padronali, dal canto loro, dovrebbero dimostrarsi sensibili e quindi rivolgersi in maniera unita alle autorità, ribadendo che, siccome le attività sono bloccate per motivi di salute pubblica, è opportuno che si trovino delle soluzioni che non mettano in ginocchio gli imprenditori che devono rispettare i loro obblighi».