Il raggio Greenland
Intervista al glaciologo Konrad Steffen, ospite (virtuale) oggi dell’istituto i2a
Da una parte Derick Pottle, cacciatore inuit; dall’altra Konrad Steffen, glaciologo e direttore dell’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio: sono loro i protagonisti dei due cortometraggi di Jason Van Bruggen che apriranno, oggi alle ore 18 sulla piattaforma digitale Zoom ( il secondo appuntamento del Raggio verde, ciclo di incontri sul cambiamento climatico dell’istituto i2a di Lugano. Dopo i filmati, sarà lo stesso Steffen a parlare di clima.
Nel suo incontro parlerà della Groenlandia, in danese ‘Terra verde’. Un tempo il clima era molto più caldo di adesso?
È un nome che risale al Medioevo, legato ad alcuni eventi storici. All’epoca l’Islanda era abitata dai vichinghi e uno di loro uccise una persona: siccome non c’erano prigioni, per lui la punizione era abbandonare l’Islanda e dirigersi verso ovest. Dall’Islanda è arrivato in Groenlandia e si è insediato sulle coste meridionali dell’isola. Con lui c’erano solo due o tre famiglie e per attrarre più persone dall’Islanda, che significa “Terra del ghiaccio”, si è inventato il nome di “Terra verde” – ma a parte alcune piccole fattorie lungo la costa la Groenlandia era completamente ricoperta dai ghiacci. Questo avvenne durante l’Optimum climatico medievale: faceva quindi effettivamente più caldo che nei periodi successivi, ma il nome è comunque un fraintendimento. La Groenlandia dovrebbe chiamarsi Islanda e l’Islanda, che ha molti territori verdi, Groenlandia.
Ghiacci che adesso sono sempre più sottili.
Sì, e disponiamo di misurazioni molto accurate, in proposito, grazie a una grande rete di stazioni di rilevamento di cui mi occupavo quando vivevo negli Stati Uniti – negli ultimi trent’anni sono stato nell’Artico 45 volte. Grazie agli strumenti sappiamo quanto è profondo il ghiaccio e quindi possiamo calcolare quanto se ne perde ogni anno, la differenza tra la fusione dei mesi estivi e le precipitazioni invernali. Attualmente in Groenlandia perdiamo circa 360 chilometri cubi di ghiaccio – è difficile da immaginare, questa quantità, ma possiamo fare un confronto con i ghiacciai dell’arco alpino, che sono circa 60 chilometri cubi. Ogni anno la Groenlandia perde sei volte tutto il ghiaccio presente nelle Alpi. Ghiaccio che finisce nell’oceano, aumentando il livello del mare – a livello globale – di un millimetro.
Un millimetro solo dalla Groenlandia, poi ci sono gli altri ghiacciai.
Esattamente: un altro millimetro dai ghiacciai del resto del mondo, poi l’Antartide e non dimentichiamo che, scaldandosi, gli oceani stessi aumentano di volume. Globalmente, misuriamo un aumento di 3,5 millimetri.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Ipcc (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, ndr), con il ritmo attuale di fusione dei ghiacciai e di riscaldamento degli oceani il livello del mare potrà salire fino a un metro entro la fine del secolo. Il che vuol dire che territori in cui attualmente vivono milioni di persone saranno sommersi, e queste persone dovranno migrare.
Questi gli effetti – le cause? È tutto di origine umana?
Il 98% del riscaldamento climatico è di origine umana: sappiamo quanti gas serra rilasciamo nell’atmosfera, abbiamo strumenti molto accurati per misurarli. Siamo quindi responsabili della tendenza generale, poi ci sono ovviamente delle variazioni naturali, che conosciamo bene grazie agli studi sul clima del passato.
Colpa della CO2 e degli altri gas serra?
Prima avevamo emissioni naturali, ad esempio dai vulcani, ma ci volevano centinaia di migliaia di anni per aumentare i livelli di CO2. Quello che vediamo nel Novecento è un forte aumento dei livelli di CO2, anche se inizialmente non c’è stata una forte correlazione con l’aumento della temperatura perché insieme alla CO2 immettevamo nell’atmosfera anche solfati, particelle grandi che riflettono la radiazione solare e raffreddano l’atmosfera. Negli anni Ottanta ci si è impegnati a ridurre le emissioni di solfati – responsabili, oltre che di diversi problemi di salute, anche delle piogge acide –, ma questo ha portato a un aumento delle temperatura. Riprendere le emissioni di solfati non è comunque una soluzione possibile: le conseguenze per la salute umana sarebbero enormi e con le piogge acide perderemmo la biomassa delle foreste.
Come mai negli anni Ottanta è stato possibile ridurre le emissioni di solfati mentre adesso, per quelle di CO2, è così difficile?
Il solfato è un sottoprodotto della combustione che è stato possibile eliminare dal combustibile – per la CO2 il discorso è diverso.
Vediamo le difficoltà nel raggiungere accordi internazionali che tra l’altro non prevedono cifre precise sulle emissioni: gli accordi di Parigi parlano di mantenere l’aumento della temperatura sotto i 2 gradi. Ma se guardiamo alla quantità di CO2 nell’atmosfera, siamo già sopra quel limite. Non dimentichiamo poi che 2 gradi è l’aumento medio: in alcune regioni la temperatura salirà di più. La Groenlandia potrebbe davvero diventare la “Terra verde”, senza ghiaccio: forse ci vorrà più di un secolo, ma quando accadrà il livello del mare salirà di 6 metri.
A proposito di orizzonti temporali: perché anche durante la crisi sanitaria ed economica del nuovo coronavirus dovremmo preoccuparci del clima?
È un’ottima domanda perché c’è molta preoccupazione per il coronavirus, ma se tutto va bene sarà questione di qualche mese – non voglio fare previsioni, non ne ho le competenze, ma quando avremo il vaccino ne saremo fuori. Il problema del riscaldamento globale per molti non è importante, ma continuano a emettere CO2, anche se un po’ meno in questo periodo.
Adesso la priorità è certo il nuovo coronavirus, ma il riscaldamento globale non scomparirà a breve, e anzi diventerà sempre più importante.