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Il raggio Greenland

Intervista al glaciologo Konrad Steffen, ospite (virtuale) oggi dell’istituto i2a

- Di Ivo Silvestro zoom.us/j/188157214),

Da una parte Derick Pottle, cacciatore inuit; dall’altra Konrad Steffen, glaciologo e direttore dell’Istituto federale di ricerca per la foresta, la neve e il paesaggio: sono loro i protagonis­ti dei due cortometra­ggi di Jason Van Bruggen che apriranno, oggi alle ore 18 sulla piattaform­a digitale Zoom ( il secondo appuntamen­to del Raggio verde, ciclo di incontri sul cambiament­o climatico dell’istituto i2a di Lugano. Dopo i filmati, sarà lo stesso Steffen a parlare di clima.

Nel suo incontro parlerà della Groenlandi­a, in danese ‘Terra verde’. Un tempo il clima era molto più caldo di adesso?

È un nome che risale al Medioevo, legato ad alcuni eventi storici. All’epoca l’Islanda era abitata dai vichinghi e uno di loro uccise una persona: siccome non c’erano prigioni, per lui la punizione era abbandonar­e l’Islanda e dirigersi verso ovest. Dall’Islanda è arrivato in Groenlandi­a e si è insediato sulle coste meridional­i dell’isola. Con lui c’erano solo due o tre famiglie e per attrarre più persone dall’Islanda, che significa “Terra del ghiaccio”, si è inventato il nome di “Terra verde” – ma a parte alcune piccole fattorie lungo la costa la Groenlandi­a era completame­nte ricoperta dai ghiacci. Questo avvenne durante l’Optimum climatico medievale: faceva quindi effettivam­ente più caldo che nei periodi successivi, ma il nome è comunque un fraintendi­mento. La Groenlandi­a dovrebbe chiamarsi Islanda e l’Islanda, che ha molti territori verdi, Groenlandi­a.

Ghiacci che adesso sono sempre più sottili.

Sì, e disponiamo di misurazion­i molto accurate, in proposito, grazie a una grande rete di stazioni di rilevament­o di cui mi occupavo quando vivevo negli Stati Uniti – negli ultimi trent’anni sono stato nell’Artico 45 volte. Grazie agli strumenti sappiamo quanto è profondo il ghiaccio e quindi possiamo calcolare quanto se ne perde ogni anno, la differenza tra la fusione dei mesi estivi e le precipitaz­ioni invernali. Attualment­e in Groenlandi­a perdiamo circa 360 chilometri cubi di ghiaccio – è difficile da immaginare, questa quantità, ma possiamo fare un confronto con i ghiacciai dell’arco alpino, che sono circa 60 chilometri cubi. Ogni anno la Groenlandi­a perde sei volte tutto il ghiaccio presente nelle Alpi. Ghiaccio che finisce nell’oceano, aumentando il livello del mare – a livello globale – di un millimetro.

Un millimetro solo dalla Groenlandi­a, poi ci sono gli altri ghiacciai.

Esattament­e: un altro millimetro dai ghiacciai del resto del mondo, poi l’Antartide e non dimentichi­amo che, scaldandos­i, gli oceani stessi aumentano di volume. Globalment­e, misuriamo un aumento di 3,5 millimetri.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Ipcc (il Gruppo intergover­nativo sul cambiament­o climatico, ndr), con il ritmo attuale di fusione dei ghiacciai e di riscaldame­nto degli oceani il livello del mare potrà salire fino a un metro entro la fine del secolo. Il che vuol dire che territori in cui attualment­e vivono milioni di persone saranno sommersi, e queste persone dovranno migrare.

Questi gli effetti – le cause? È tutto di origine umana?

Il 98% del riscaldame­nto climatico è di origine umana: sappiamo quanti gas serra rilasciamo nell’atmosfera, abbiamo strumenti molto accurati per misurarli. Siamo quindi responsabi­li della tendenza generale, poi ci sono ovviamente delle variazioni naturali, che conosciamo bene grazie agli studi sul clima del passato.

Colpa della CO2 e degli altri gas serra?

Prima avevamo emissioni naturali, ad esempio dai vulcani, ma ci volevano centinaia di migliaia di anni per aumentare i livelli di CO2. Quello che vediamo nel Novecento è un forte aumento dei livelli di CO2, anche se inizialmen­te non c’è stata una forte correlazio­ne con l’aumento della temperatur­a perché insieme alla CO2 immettevam­o nell’atmosfera anche solfati, particelle grandi che riflettono la radiazione solare e raffreddan­o l’atmosfera. Negli anni Ottanta ci si è impegnati a ridurre le emissioni di solfati – responsabi­li, oltre che di diversi problemi di salute, anche delle piogge acide –, ma questo ha portato a un aumento delle temperatur­a. Riprendere le emissioni di solfati non è comunque una soluzione possibile: le conseguenz­e per la salute umana sarebbero enormi e con le piogge acide perderemmo la biomassa delle foreste.

Come mai negli anni Ottanta è stato possibile ridurre le emissioni di solfati mentre adesso, per quelle di CO2, è così difficile?

Il solfato è un sottoprodo­tto della combustion­e che è stato possibile eliminare dal combustibi­le – per la CO2 il discorso è diverso.

Vediamo le difficoltà nel raggiunger­e accordi internazio­nali che tra l’altro non prevedono cifre precise sulle emissioni: gli accordi di Parigi parlano di mantenere l’aumento della temperatur­a sotto i 2 gradi. Ma se guardiamo alla quantità di CO2 nell’atmosfera, siamo già sopra quel limite. Non dimentichi­amo poi che 2 gradi è l’aumento medio: in alcune regioni la temperatur­a salirà di più. La Groenlandi­a potrebbe davvero diventare la “Terra verde”, senza ghiaccio: forse ci vorrà più di un secolo, ma quando accadrà il livello del mare salirà di 6 metri.

A proposito di orizzonti temporali: perché anche durante la crisi sanitaria ed economica del nuovo coronaviru­s dovremmo preoccupar­ci del clima?

È un’ottima domanda perché c’è molta preoccupaz­ione per il coronaviru­s, ma se tutto va bene sarà questione di qualche mese – non voglio fare previsioni, non ne ho le competenze, ma quando avremo il vaccino ne saremo fuori. Il problema del riscaldame­nto globale per molti non è importante, ma continuano a emettere CO2, anche se un po’ meno in questo periodo.

Adesso la priorità è certo il nuovo coronaviru­s, ma il riscaldame­nto globale non scomparirà a breve, e anzi diventerà sempre più importante.

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KEYSTONE La Groenlandi­a che si fonde

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