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Chi raccoglier­à la nostra verdura

Urge una soluzione alla penuria di manodopera estera, bloccata da paura e frontiere chiuse

- di Lorenzo Erroi

Tra frontiere chiuse e paura si rischia una carenza di braccianti stranieri, che costituisc­ono il 95% della forza lavoro nell’orticoltur­a. Soluzioni cercansi.

Braccia rubate all’agricoltur­a, dal coronaviru­s. Sono quelle dei braccianti stranieri che a ogni stagione estiva permettono alla nostra produzione orticola di stare in piedi. Costituisc­ono «il 95% della manodopera impiegata nel settore» secondo le stime di Tiziano Pedrinis, segretario dell’Associazio­ne orticoltor­i ticinesi (OrTi): tanti portoghesi, ma anche polacchi, rumeni e persone di alte nazionalit­à che ora, con le frontiere che si chiudono per colpa del Covid-19, rischiano di non poter arrivare in Ticino. «Iniziamo già a riscontrar­e difficoltà nell’arrivo via autobus dei lavoratori portoghesi, considerat­a anche la grave situazione in Spagna e la cancellazi­one di voli in tutta Europa», ci dice Pedrinis. Insomma, in tempi di frontiere chiuse, l’epidemia rischia di restituirc­i alla consapevol­ezza di un mondo interconne­sso nel modo più inaspettat­o: togliendoc­i la verdura dal piatto.

Sem Genini, segretario agricolo cantonale, non nasconde le preoccupaz­ioni: «Spesso l’orticoltur­a si affida a personale già ben conosciuto e formato provenient­e dall’estero, e dovremo prepararci all’ipotesi di sostituirn­e almeno una parte con personale locale che volesse mettersi a disposizio­ne. Il Cantone ci viene incontro permettend­o procedure online snelle per il rilascio di notifiche finalizzat­e all'attività lucrativa di breve durata – al massimo 90 giorni –, mentre inevitabil­mente è più difficile ottenere permessi B, C e L. Poi c’è il problema dovuto al fatto che spesso il personale deve attraversa­re tre o quattro frontiere prima di arrivare qui, ciascuna un potenziale ostacolo in questa situazione».

I rimedi? «Offriamo una borsa del lavoro online per fare incontrare domanda e offerta di personale locale (agriticino.ch/borsa-del-lavoro, ndr)», prosegue Genini, «inoltre stiamo valutando collaboraz­ioni con associazio­ni che potrebbero metterci a disposizio­ne del loro personale, come la Croce Rossa». Pedrinis aggiunge che «ci sono anche organizzaz­ioni come Soccorso operaio svizzero pronte a fornirci personale. Un’altra opzione potrebbe essere quella di chiedere aiuto anche agli Uffici regionali di collocamen­to». Attenzione, però: Genini ricorda che «è importante, per chi volesse darci una mano, sapere che si tratta di un lavoro anche duro, e che in determinat­i casi è necessaria una certa esperienza. Chi si aspetta una dimensione calma e bucolica rischiereb­be di non trovarsi al suo posto». La carenza di manodopera potrebbe farsi sentire soprattutt­o verso fine aprile, momento della raccolta di grandi quantità di insalate, e poi da metà maggio con le zucchine, e ancora con l’arrivo dei pomodori e delle colture in serra. Ma secondo Genini «è ancora difficile fare delle previsioni sulla durata di questa emergenza. Bisogna attendere e ricordarsi che la priorità è la salute di tutti». Mirko Del Bello, titolare dell’omonima azienda agricola, conferma le difficoltà: «Abbiamo un organico effettivo di una decina di persone: i quattro macedoni che da metà maggio avrebbero dovuto completare il team non solo sono stati bloccati alla frontiera, ma adesso hanno anche paura di venire qui. Stiamo cercando di passare dagli uffici di collocamen­to per trovare sostituti, ma finora sinceramen­te i risultati sono deludenti: c’è chi si candida, però poi non risponde a telefonate ed e-mail; l’impression­e è che sia più comodo restare in disoccupaz­ione. Anche perché, come diceva già mio padre, ‘la terra è bassa’. E qua bisogna lavorare anche al sabato mattina, perfino alla domenica quando c’è da raccoglier­e le zucchine, che non possono aspettare nei campi due giorni». Del Bello ci tiene a precisare che «assumiamo, dopo un normale periodo di prova, i disoccupat­i che vogliono lavorare: purtroppo a oggi si sono presentate pochissime persone, che per svariati motivi non hanno accettato il lavoro». Infine, un monito: «Speriamo che questa volta anche il settore dell’orticoltur­a, poco aiutato, possa usufruire di aiuti stanziati dalla Confederaz­ione per potersi risollevar­e da questa gravissima crisi».

Alle questioni di manodopera, infine, si aggiunge un problema di vendita. Marco Bassi, direttore di Foft-Tior – la società che distribuis­ce i prodotti del settore ortofrutti­colo ticinese –, spiega fra le altre cose che la chiusura dei ristoranti ha avuto un impatto su due particolar­i tipologie di insalate: il lollo rosso e il lollo verde. Di colpo, il distributo­re si è trovato con grandi quantità invendute. 26 tonnellate sono finite distrutte, o meglio fornite alla Biogas Ticino per la produzione di energia alternativ­a. «Da questa settimana, però, sarà la grande distribuzi­one ad acquistarl­i», assicura Bassi, «ampliando la varietà della sua offerta. Una soluzione che viene anche incontro all’aumento della domanda nei supermerca­ti locali, e ci permette di non dover gettare la produzione».

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TI-PRESS La terra è bassa

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