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Dalla formazione alla ricerca

Assegnate a 5 giovani ricercator­i le borse di studio della Fondazione Ibsa

- di Ivo Silvestro

Settima edizione per le fellowship della Fondazione Ibsa per la ricerca scientific­a – ma niente cerimonia di premiazion­e, annullata a causa dell’epidemia. «Mi spiace soprattutt­o per i vincitori: è sempre un momento importante, per i giovani ricercator­i» ci spiega Silvia Misiti, direttrice della fondazione. Lo scopo di queste borse di studio, infatti, è sostenere non solo economicam­ente i ricercator­i «in questa fase particolar­e della loro vita profession­ale, nel passaggio dalla formazione a una ‘position’ in un istituto di ricerca». Anche per questo c’è una particolar­e attenzione alla mobilità accademica: «Presentars­i in un nuovo istituto disponendo già di una “base” aiuta molto, e infatti queste borse sono spesso usate per cambiare istituto di ricerca e il “fattore mobilità” è uno di quelli di cui teniamo conto, nel valutare i progetti».

Le cinque borse, del valore di 30mila euro ciascuna, sono andate a Tommaso Virgilio dell’Irb di Bellinzona; Luigi Marino della Virginia Commonweal­th University; Zhuang Li del Leiden University Medical Center; Ferran Barrachina Villalonga della Harvard Medical School e Concetta Di Natale dell’Università di Napoli. Le aree di ricerca premiate vanno dalla medicina del dolore all’endocrinol­ogia alla dermatolog­ia alla fertilità, settori «in cui non ci sono molte borse di studio: ci piace l’idea di dare un po’ di linfa ad aree che sono un po’ meno finanziate di altre» conclude Misiti.

Sono state 120 le candidatur­e per le borse di quest’anno – e a giorni sarà aperto il bando per le fellowship dell’anno prossimo –, «un numero in aumento, rispetto all’anno scorso» specifica Misiti. «Ma quello che è più importante è che negli anni è aumentato lo “spessore” scientific­o delle ‘applicatio­ns’, dovuto a un grosso lavoro di diffusione del bando: all’inizio era conosciuto soprattutt­o grazie all’azienda – e quindi arrivavano proposte anche di buon livello, ma legate all’ambiente medico-ospedalier­o –, mentre adesso abbiamo più istituti di ricerca e università». Per quanto riguarda l’origine delle candidatur­e? «Internazio­nali, ma almeno metà delle domande viene dall’Italia, certo per la vicinanza ma anche per questioni di necessità: nel sistema di ricerca italiano c’è bisogno di borse di studio che permettano a questi giovani di proseguire ancora un anno la ricerca».

E la ricerca premiata riguarda proprio le metastasi.

Esatto. Trovandosi nella pelle, il melanoma si può operare facilmente, ma crea facilmente metastasi, tumori secondari che si formano in altri organi – per il melanoma è frequente nel cervello e nei polmoni – e che sono molto pericolosi. Il primo organo che viene colpito è il “famoso” linfonodo sentinella – quello che controllan­o i medici per vedere se il tumore si sta diffondend­o. Da lì si diffonde nel sangue e negli altri organi.

Che cosa avete studiato, di preciso?

Come fa il tumore a crescere nel linfonodo sentinella, un organo molto particolar­e perché è ricco di globuli bianchi che sono in grado di controllar­e l’infiammazi­one. Infiammazi­one che può eliminare il tumore se ben “orchestrat­a”. Ma questo non avviene e il nostro scopo è identifica­re qualche meccanismo che risulta alterato, o sul quale possiamo agire per rendere più efficace un’infiammazi­one contro il tumore.

Se ho capito bene, siamo agli inizi della ricerca: la strada per un farmaco o un trattament­o è ancora lunga.

Sì, siamo alle fasi iniziali, anche se abbiamo già identifica­to un meccanismo che nel linfonodo sembra promuovere la crescita tumorale e abbiamo già verificato che il blocco di questo meccanismo rallenta un po’ la crescita tumorale. Tra l’altro, farmaci che bloccano questo meccanismo sono già disponibil­i: si tratterebb­e quindi di indirizzar­e farmaci già disponibil­i su un tumore specifico, e questo potrebbe avvenire in tempi più lunghi.

C’è poi un altro filone della ricerca, che è quello che a noi interessa davvero ed è comprender­e meglio il meccanismo di cui parlavo, capire perché questa proteina infiammato­ria accelera la crescita del tumore. Questa comprensio­ne ci permettere­bbe di identifica­re altre proteine, altri meccanismi che agiscono insieme a quello già trovato. Queste conoscenze potrebbero permetterc­i di migliorare l’immunotera­pia oncologica, e qui i tempi sono chiarament­e più lunghi.

Questo grazie anche alla fellowship di Ibsa. Come si inserisce questa borsa nella carriera di un ricercator­e?

Le prime posizioni iniziano ad avere una responsabi­lità, ovviamente condivisa con il capo del laboratori­o, su un singolo progetto, che nel mio caso è stato questo sul melanoma. Lavoro sotto attenta supervisio­ne, ovviamente, ma il progetto, la responsabi­lità, è mia e il sostegno della Fondazione Ibsa è decisivo, perché mi permette di prolungare i tempi di lavoro, di ultimare quindi la parte di cui abbiamo discusso di studio dei meccanismi.

Inoltre la Fondazione Ibsa promuove le collaboraz­ioni internazio­nali: noi ad esempio collaboria­mo, in questo studio, con un gruppo di Israele e la fondazione ci sostiene in questo, ci aiuta a mantenere contatti più stretti, favorisce i viaggi – ovviamente questi ultimi a pandemia conclusa…

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ARCHIVIO TI-PRESS Tra i vincitori, un ricercator­e dell'Irb di Bellinzona

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