Come adattarci al Coronavirus?
Mentre la curva dei contagi in alcuni Paesi comincia a stabilizzarsi, molti Stati, inclusa la Svizzera, cominciano a pensare alla fase 2, quella di un progressivo ritorno alla normalità. I problemi però sono parecchi, anche perché le incognite sono più delle certezze. I problemi di questo virus sono quattro: si trasmette molto facilmente, si trasmette anche da persone asintomatiche o con sintomi lievi, la popolazione mondiale è scoperta, ovvero non ha anticorpi e non esiste, per ora, un vaccino, il che significa che prima o poi molti individui potrebbero contrarre il virus. L’Organizzazione mondiale della Sanità sta ancora dibattendo sulle linee guida da consegnare agli Stati membri in vista della ‘riapertura’. Di sicuro, però, per poter cominciare a parlare di fase 2, gli Stati dovranno anzitutto rispettare i requisiti minimi che saranno loro indicati, come assicurarsi di possedere adeguati ed efficaci sistemi di testing e sorveglianza della popolazione che servano da guida nella modulazione delle strategie di potenziamento o di allentamento delle restrizioni.
La raccomandazione sarà sicuramente quella di riaprire per fasi, ci si interroga se chiedere “quando” le restrizioni saranno revocate non sia la domanda sbagliata e la domanda da porsi non sia invece “che cosa” deve essere fatto ed essere realizzato prima che le restrizioni possano essere revocate.
Oggi almeno un terzo della popolazione mondiale è in quarantena a causa della pandemia da coronavirus e le armi finora a disposizione a livello preventivo sono l’isolamento nella propria abitazione, il distanziamento sociale e la raccomandazione di lavare bene e di frequente le mani. Ci sono, però, numerosi studi e segnalazioni da tutto il mondo sulla possibilità di contagio da «asintomatici» e molti esperti ritengono che casi inosservati e asintomatici di infezione da coronavirus possano essere un’importante fonte di diffusione.
Anche noi in Svizzera dobbiamo creare le condizioni necessarie ad affrontare la pandemia in una situazione più adeguata rispetto a quella nella quale ci siamo trovati nel mese di febbraio, e dobbiamo, nel contempo, fare in modo che le strutture ospedaliere e il servizio medico sul territorio siano messi in grado di trattare non solo Covid-19 e situazioni d'’emergenza, ma anche di gestire la loro funzione naturale di seguire, diagnosticare e curare tutti i pazienti e tutte le malattie. Non dobbiamo lasciare che la situazione ci sfugga di mano. Dobbiamo recuperare l’arretrato, non possiamo permetterci di trovarci nella condizione in cui non si riesca a tenere il conto dei morti.
Nel pianificare la fase 2 dobbiamo operare in modo che su tutto il territorio ci sia la disponibilità di test diagnostici e che la comunicazione dell’esito al paziente e all’autorità competente avvenga nel più breve tempo possibile, preparare inoltre le strutture ospedaliere e lo staff (compreso il materiale protettivo) in caso sorga il rischio di dover ripartire da capo, dal momento che ci sono anche moltissimi infetti asintomatici o che presentano sintomi lievi, e andrà raccomandato l’uso delle mascherine come suggerito dall’Oms, come pure il mantenimento delle distanze (un metro non basta, occorrono almeno 2 metri e più), evitando abbracci e strette di mano, tenendo chiusi mense, ristoranti e bar e palestre, adattando alla necessità contingente gli ambienti di lavoro, organizzando in modo adeguato le case per anziani dove le popolazioni sono ad alto rischio; inoltre, le persone con sintomi anche lievi dovrebbero essere subito isolate e sottoposte al test del Covid-19 e, se risultassero positive, isolarle subito e isolare anche tutti coloro con cui sono state in contatto ravvicinato; per le persone per cui non ci fosse la possibilità di isolamento totale, occorrerà creare degli appositi centri di quarantena. Una misura, più controversa, applicata in Cina, Taiwan e Hong Kong è quella del tracciamento capillare di tutti i movimenti della popolazione, grazie all’utilizzo di app per monitorare i contatti e gli spostamenti e al QR Code sanitario da esibire entrando in ogni luogo pubblico, dal metrò all’ufficio, al condominio in cui si abita. Senza smartphone controllabile dalle autorità, non si esce di casa e, nel momento in cui si dovessero manifestare sintomi e fosse necessaria una visita medica o un ricovero ospedaliero, i dati memorizzati nel telefono verrebbero scaricati per monitorare l’attività sociale del paziente ed effettuare controlli sui suoi contatti. I problemi etici e di tutela della privacy che questo sistema pone sono evidenti, ma i cinesi non hanno avuto la possibilità di scegliere tra la salute e il lavoro o la protezione della privacy.
Per forza di cose dovremo ripensare i nostri regimi organizzativi e d’intrattenimento. Arriveranno grandi cambiamenti sul fronte del lavoro, che dobbiamo essere pronti ad accogliere con una mentalità nuova e diversa. Il vuoto delle strade e delle piazze che ci separa dalle nostre abitudini del passato fiorirà di nuove sfide e opportunità, che dovremmo cogliere nell’assoluta certezza che saremo noi a doverci adattare al coronavirus e non il contrario.