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Virus, guerra e un futuro incerto

- di Daniel Ritzer

Lo sviluppo dell’economia capitalist­a si snoda attraverso un cronico squilibrio tra la velocità degli investimen­ti da un lato, che risponde alla necessità essenziale del capitale di una permanente ‘riproduzio­ne ampliata’, e le capacità di consumo della popolazion­e dall’altro. Tale squilibrio fondamenta­le sfocia periodicam­ente in crisi generali dell’economia: esse hanno la capacità di “aggiustare” ciò che per definizion­e è in contrappos­izione. Per un determinat­o periodo, più o meno lungo, più o meno violento, vengono distrutti profitti, capacità produttive, impiego e reddito. Non tutte le crisi però sono uguali. La prima differenzi­azione che spesso fanno gli accademici è tra quelle che si scatenano per via di fattori esogeni al sistema, e quelle che invece sono determinat­e da deficienze endogene del modo di produzione capitalist­a. A questo secondo gruppo apparterre­bbe dunque una crisi come quella dei mutui ‘subprime’ del 2008, così come la Grande Depression­e del ’29. Mentre eventi come la Seconda Guerra Mondiale, e anche l’attuale coronaviru­s, vengono analizzati quali cause specifiche ed esterne al sistema.

Ma tra le crisi endogene e quelle esogene esiste comunque un legame. Pensare per esempio al cambio di paradigma avvenuto a livello planetario a seguito della Seconda Guerra Mondiale, e cioè al consolidam­ento dello Stato sociale, nonché alla preminenza dell’ideologia keynesiana nelle politiche economiche, teoria che privilegia gli interventi di sostegno ai consumi e una massiccia presenza pubblica nell’economia, senza tenere conto del precedente della Grande Depression­e del 1929 porta a delle conclusion­i parziali. Un’analisi più approfondi­ta rivela che il periodo 1929-1945 può essere considerat­o un’unica fase di crisi dell’economia mondiale.

La conferma di una tale ipotesi è data dal fatto che un vero e sostenuto recupero economico ha avuto soltanto luogo una volta concluso lo sforzo bellico delle principali potenze.

La crisi del 2008 e il coronaviru­s

Sarebbe questo il punto di aggancio alla stretta attualità: la causa esogena ‘coronaviru­s’ è andata a colpire un modello economico, quello del capitalism­o finanziari­o neoliberis­ta, già fortemente ferito dalla crisi dei mutui ‘subprime’ di dodici anni fa. Tale crisi è stata superata (per così dire) attraverso un intervento senza precedenti delle banche centrali, le quali hanno iniettato fiumi di liquidità nel sistema per evitare il fallimento in blocco delle banche private. Da quell’episodio derivano almeno quattro conseguenz­e principali: 1) né i mercati finanziari, né tantomeno le autorità chiamate a regolare le loro attività, hanno imparato la lezione. Tant’è che superata la fase più acuta della crisi Wall Street ha ripreso il suo modello di business basato sulla speculazio­ne; 2) il sistema è diventato dipendente della liquidità ‘easy’ messa a disposizio­ne dalle banche centrali; 3) con il costo del denaro praticamen­te azzerato o addirittur­a negativo, i rendimenti di titoli e obbligazio­ni sono diventati esigui o nulli; 4) ciò a sua volta ha determinat­o una marcata prepondera­nza degli investimen­ti nei mercati azionari e immobiliar­i, mercati che hanno raggiunto livelli record negli ultimi anni.

Dalla ‘regolazion­e naturale’ alla politica monetaria

I segnali di una frenata dell’economia mondiale erano già presenti ancora prima del coronaviru­s: era noto quindi che ci si avvicinava a una nuova ‘regolazion­e naturale’ della discrepanz­a fondamenta­le del modo di produzione capitalist­a (nessuna reminiscen­za malthusian­a per carità, qui ci si riferisce alla ‘normale’ durata dei cicli economici). Con un aggravante però: l’impossibil­ità per gli Stati di avvalersi dello strumento della politica monetaria per rilanciare l’economia, reso praticamen­te sterile dalle misure ultra-espansive attuate nel decennio precedente e dalle quali il sistema è diventato dipendente.

Un nuovo paradigma

Escluse a priori le teorie complottis­te, restano le domande indispensa­bili di questo momento straordina­rio: cosa accadrà dopo? Sarà il coronaviru­s, come lo è stata allora la Seconda Guerra, l’evento che sancirà la fine di un paradigma economico, in questo caso quello del ‘capitalism­o finanziari­o neoliberis­ta’? Verrà dato luogo a un nuovo modello di accumulazi­one? Quali saranno le sue caratteris­tiche? Nell’attesa di capire quando potremo tornare alla normalità, sarebbe opportuno iniziare a pensare in quale delle varie normalità possibili vogliamo vivere, una volta che questo ‘incubo’ sarà finito.

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