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In cerca di un cammino sicuro

Exit strategy, mascherine, Ticino: intervista ad Alain Berset

- di Stefano Guerra

Signor consiglier­e federale, la pressione degli ambienti economici è forte; e il Fondo monetario internazio­nale evoca una “Grande Depression­e”. Il Consiglio federale risponde con un piano molto prudente di uscita dal ‘lockdown’. Perché non avete scelto di procedere più speditamen­te?

Tutti gli sforzi fatti sin qui - la chiusura delle scuole, dei negozi, delle attività culturali – ci hanno permesso di tenere sotto controllo la curva dei contagi. Non li abbiamo fatti per poi all’improvviso assumerci rischi sconsidera­ti. Dobbiamo continuare su questa linea improntata alla prudenza, pur con la volontà di riaprire gradualmen­te le attività. Constato peraltro che tutti i Paesi attorno al nostro si apprestano a seguire un cammino più o meno identico. Non a caso. Se abbandonia­mo questi sforzi, non possiamo escludere il rischio di una nuova impennata dei contagi. Paesi asiatici che poche settimane fa venivano citati come modello, oggi hanno dovuto inasprire di nuovo le misure adottate a suo tempo. Questo tipo di situazione crea i danni peggiori. Ed è ciò che cerchiamo di evitare. Bisogna anche tenere presente che non abbiamo fermato tutto: è rimasto operativo il 75% delle attività. Ora si tratta di far ripartire soltanto la parte che è stata temporanea­mente chiusa per contenere la diffusione del coronaviru­s.

Lei ha parlato di “un segnale di speranza”. Ma ristorator­i, albergator­i e organizzat­ori di eventi si sentono piantati in asso.

Cerchiamo di trovare un equilibrio, basandoci sui pareri degli specialist­i in materia di epidemie. L’obiettivo è di tracciare il miglior cammino possibile per il nostro Paese. Ho molta comprensio­ne per le preoccupaz­ioni di chi lavora in questi settori. Siamo però obbligati ad avere una visione d’assieme, che tenga conto degli sforzi realizzati finora e della necessità di uscire in modo ordinato dalla crisi, secondo i criteri ben definiti che abbiamo indicato.

Il Paléo di Nyon e il Montreux Jazz Festival sono stati annullati. Dobbiamo metterci il cuore in pace per il festival del film di Locarno?

Non lo so. Questa crisi è cominciata sei, sette settimane fa in Svizzera. Se guardiamo avanti di sei, sette settimane, arriviamo a inizio giugno. Sembra un’eternità. Per questo è estremamen­te difficile fare adesso previsioni per luglio, agosto e settembre. Va detto che alcuni grandi Paesi vicini hanno già deciso di vietare tutto le grandi manifestaz­ioni sino alla fine di agosto.

Chi ci garantisce che il 27 non sarà una falsa partenza?

Non c’è mai una garanzia. Il rischio maggiore sarebbe di aprire troppo velocement­e. La riapertura avrà come probabile conseguenz­a quella di far aumentare di nuovo i contagi. Ed è ciò che vogliamo evitare. Grazie a una strategia chiara, facendo prova di grande cautela. I settori che riaprirann­o per primi (i parrucchie­ri, ad esempio) non generano assembrame­nti, né grandi movimenti di persone nei trasporti pubblici e sulle strade. Inoltre sappiamo esattament­e quali sono le misure di protezione che possono essere adottate, e dove possiamo ritrovare chi è entrato in contatto con chi.

Alcuni Paesi asiatici che sono riusciti a ‘domare’ la pandemia hanno riaperto le attività economiche soltanto quando non hanno più avuto nuovi casi di infezione. Il Consiglio federale si vuole molto prudente, ma in realtà non lo è troppo.

Cerchiamo di trovare un equilibrio. È la ragione per cui non possiamo riaprire troppo rapidament­e. Pensiamo che il numero di nuovi contagi continuerà a diminuire: questo ci consente di fare un primo passo il 27 aprile. Quello successivo seguirà l’11 maggio. Non ce ne saranno altri prima dell’8 giugno. Vogliamo essere assolutame­nte sicuri di poter monitorare bene l’evoluzione. Solo così potremo fondare la decisione di riaprire ulteriori settori non sui desiderata degli uni o degli altri, ognuno con i suoi legittimi interessi, bensì su dati e criteri ben definiti che ci consentano di tracciare un cammino sicuro, evitando ricadute che avrebbero più tardi conseguenz­e molto più gravi.

L’Oms esorta i Paesi a riaprire le attività economiche soltanto una volta messe in atto tutte le possibili misure di protezione. Noi, a dieci giorni dal 27, siamo ancora allo stadio di vaghi ‘piani di protezione’.

Ricordo che anche nel periodo in cui abbiamo frenato le attività economiche, nel complesso in Svizzera

– contrariam­ente a quanto è capitato altrove – i tre quarti delle attività hanno continuato a funzionare, nel rispetto di norme igieniche e distanza sociale. Anche così siamo riusciti a far diminuire il numero di nuove infezioni giornalier­e dalle 1’500 a inizio aprile alle attuali 300 circa. Un’evoluzione importante, avvenuta con un’economia parzialmen­te aperta. Adesso, in vista delle graduali riaperture previste, dobbiamo sviluppare con i rappresent­anti di ogni settore dei piani specifici di protezione, che rispondano alla realtà concreta di ogni singolo settore. Questi piani sono in preparazio­ne. Saranno pronti a tempo debito.

Il Consiglio federale si limiterà a raccomanda­re di indossare mascherine di protezione in determinat­i settori o per certe categorie di lavoratric­i e lavoratori, oppure obbligherà a farlo?

Verosimilm­ente, nell’ambito dell’elaborazio­ne di questi piani di protezione, si arriverà al punto di ordinare di indossare mascherine igieniche in alcune attività. Il personale medico-sanitario lo fa già tradiziona­lmente. Possiamo immaginare, ad esempio, che la questione si porrà per i parrucchie­ri. Per contro, quel che non abbiamo previsto di fare è di raccomanda­re alla popolazion­e in generale di portare una mascherina nello spazio pubblico, per strada. Gli esperti al momento non danno alcuna indicazion­e che sia questa la direzione da seguire. E fintanto che sarà così, il Consiglio federale resterà sulla linea seguita sin qui. Per contro, in funzione di bisogni settoriali specifici, la nostra posizione potrebbe evolvere.

Il 27 ci saranno abbastanza mascherine per tutti coloro che ne avranno bisogno?

Sì, ce ne saranno abbastanza. Lo abbiamo sempre detto, del resto. È chiaro però che, per il momento, le mascherine sono destinate in maniera prioritari­a agli ospedali e alle altre strutture sanitarie, ossia laddove sono veramente necessarie.

Le scuole dell’obbligo: perché non riaprirle subito, visto che a quanto pare i bambini raramente si ammalano di Covid-19?

Si può sempre procedere più velocement­e o più lentamente. Noi non vogliamo andare troppo veloci. Non ci affrettiam­o ad aprire settori che possono generare grandi assembrame­nti e movimenti di persone. In questo intervallo di due settimane tra il 27 aprile e l’11 maggio speriamo di poter osservare un’evoluzione sempre favorevole sul piano epidemiolo­gico, ciò che ci permettere­bbe di tornare a una logica di contenimen­to dell’epidemia. E di compiere un ulteriore passo verso la riapertura.

Bisognerà continuare a evitare i contatti intergener­azionali. Non temete che, riaprendo le scuole dell’obbligo, i nonni tornino ad accompagna­re i nipotini?

Fintanto che il virus sarà presente nella nostra società, le persone a rischio devono prendere misure di protezione particolar­i. I nonni, se hanno più di 65 anni o malattie pregresse, devono continuare a essere molto attenti e a proteggers­i. Ormai lo sappiamo: le migliori misure di protezione sono restare a casa, mantenere le distanze, lavarsi le mani a fondo e regolarmen­te. Queste raccomanda­zioni restano più che mai valide.

Un’uscita differita del Ticino dal lockdown: il Consiglio federale la esclude a priori?

Dall’inizio di questa epidemia non abbiamo mai escluso niente. Dobbiamo fare del ‘management dell’incertezza’, mentre finora eravamo più o meno abituati a essere certi di tutto. Se questa crisi ci insegna qualcosa, è quello di far fronte con modestia a ciò che la natura ci comanda: a un virus che non conosciamo bene e che detta il ritmo delle nostre decisioni. Il Consiglio federale auspica che, nella misura del possibile, si possano fare dei passi per l’insieme del Paese. D’altro canto abbiamo dimostrato, quando la situazione lo imponeva, di essere stati capaci di avere la flessibili­tà necessaria, come ad esempio per tenere conto della situazione particolar­e vissuta dal Ticino.

Significa che potreste autorizzar­e un’ulteriore ‘finestra di crisi’, dopo quella che si chiuderà il 26 aprile?

Noi speriamo che a partire dal 27 aprile, con calma, si possa tornare su una linea comune tra cantone e Confederaz­ione. Siamo in stretto contatto con le autorità cantonali per discuterne.

Due mesi al fronte, di cui uno di ‘situazione straordina­ria’, trascorsi nei panni di ‘Landesvate­r’ (Tages-Anzeiger), di ‘Padre del Paese’. Qual è stato il momento più difficile?

Parliamo di un lavoro di squadra: dell’insieme del Consiglio federale, assieme ai collaborat­ori dei vari dipartimen­ti, dei cantoni e del settore privato. La cosa più difficile è stata la rapidità con la quale il Consiglio federale s’è dovuto adattare alla situazione straordina­ria decretata il 16 marzo. Quelle due settimane, grossomodo dal 10 al 25 marzo, sono state estremamen­te dense. E molto esigenti sul piano fisico e politico.

La fatica, la sente in questo momento?

Sì, un po’. Ma sto bene. Una simile situazione la si può gestire come si gestisce uno sforzo sulla lunga distanza. In passato ho praticato l’atletica a livello competitiv­o (correva gli 800 metri, ndr) e per parecchi anni ho fatto campi d’allenament­o al Centro gioventù e sport di Bellinzona. Ho sempre paragonato questa crisi a una maratona, che richiede un impegno fisico a lungo termine. Bisogna sapersi gestire, organizzar­e.

Il più difficile è alle spalle o resta da fare?

Abbiamo già fatto cose abbastanza difficili. E mi ha impression­ato vedere come la popolazion­e svizzera – dai singoli individui ai gruppi di persone, dalle associazio­ni sportive e culturali alle aziende e agli ambienti economici – sia riuscita tutta assieme a gestire al meglio questa prima fase. So che è stato particolar­mente difficile in Ticino, perché il vostro cantone è stato colpito per primo dall’emergenza e ha svolto un ruolo da pioniere. Quel che ci attende d’ora in poi è altrettant­o esigente. Dobbiamo restare uniti. Se cominciamo a dividerci, se gli interessi particolar­i cominceran­no a prevalere sull’interesse comune, allora superare questa crisi sarà molto più difficile.

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 ?? KEYSTONE ?? ‘Sento un po’ di fatica, ma sto bene’
KEYSTONE ‘Sento un po’ di fatica, ma sto bene’
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KEYSTONE 'Piani di protezione pronti a tempo debito'

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