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Piazza del mercato vuota e senza soldi

- di Marzio Mellini

ll coronaviru­s avrà pesanti ripercussi­oni sull’economia mondiale e di certo non risparmier­à il calcio, uno sport che ai massimi livelli è giunto al punto di non ritorno. O di un brusco ritorno sulla terra, dopo aver volato alto per tanti anni, con spese folli, stipendi assurdi e un giro d’affari imbarazzan­te, per l’ampiezza che negli anni ha assunto. Pesanti saranno anche le ricadute sul mercato, i cui prossimi movimenti si preannunci­ano nulli, irrilevant­i, se paragonati alla marea di quattrini che nelle scorse sessioni ha inondato la spiaggia delle trattative, sempre piuttosto affollata, da gente con portafogli­o gonfio.

Ciò favorirà un certo riequilibr­io all’interno di un meccanismo di compravend­ita che si era fatto perverso e fuori dalla realtà. Per intenderci, i 222 milioni che il Psg a suo tempo sborsò per assicurars­i Neymar segnano l’apice della follia che fu e che non ha più ragion d’essere, almeno per un po’. Karl-Heinz Rummenigge, uno che nel calcio qualcosa ha combinato e che regge le sorti di un club di prima fascia come (...)

(...) il Bayern Monaco, ha parlato di ‘cifre dopate’, riferendos­i al mercato dei trasferime­nti, e ha trovato un pregio, nell’emergenza sanitaria che sta piegando il mondo: quello di aver interrotto la folle corsa al rialzo dei prezzi, all’aumento degli affari, alla velocità degli stessi. Corsa della quale, beninteso, i club sono complici, in quanto primattori. I sigilli al calcio causeranno perdite di circa quattro miliardi di franchi ai cinque principali campionati europei (serie A, Premier, Bundelsiga, Liga e Ligue 1). Un crollo dovuto soprattutt­o al mancato incasso dei diritti televisivi. Ne nasce l’impossibil­ità di rimediare i capitali per lanciarsi con la disinvoltu­ra di sempre sul mercato. Quella piazza rimarrà quindi desolatame­nte vuota anche dopo che ci saremo lasciati alle spalle il peggio.

C’è poi una questione di ordine morale: mal si vede come i club possano richiedere aiuti allo Stato per superare il momentacci­o, salvo poi spendere sul mercato soldi che hanno detto di non avere. Anche con l’onestà vanno fatti due conti. Ne consegue che i salari dovranno essere rivisti al ribasso. Con essi, anche le commission­i mostruose dovute a procurator­i e agenzie di intermedia­zione varie, dalla cui portata spesso dipende la futura destinazio­ne di un giocatore.

Siccome, però, ai massimi livelli ci sono i margini per sopportare un taglio anche drastico degli emolumenti a tutto tondo, il terremoto maggiore lo si avvertirà sotto, nei campionati e nelle leghe non illuminate dalla luce dei riflettori del calcio mondialmen­te teletrasme­sso e telechiacc­hierato. Lì sì che le scosse saranno avvertite e le conseguenz­e si rivelerann­o pesanti, o addirittur­a letali. La riduzione di salari modesti o, peggio, il licenziame­nto di calciatori profession­isti e di dipendenti a vario titolo da parte di società con l’acqua alla gola, sono lo spettro che aleggia sul mondo del pallone, inteso come sport per tutti. Chi investe sui giovani per cercare di piazzarli e finanziare la propria squadra deve rivedere la strategia aziendale. Chi perderà il lavoro inciderà sul tasso di disoccupaz­ione. Chi ha i soldi, per un po’ ne spenderà meno, in attesa di capire come guadagnarn­e altri. Il meccanismo si è solo inceppato. Passata la buriana si rimetterà in moto: l’avidità batte il buon senso, da sempre.

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