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Il clima e le promesse tecnologic­he

- Di Ivo Silvestro

Aspirare l’anidride carbonica dall’atmosfera, pensando di poter addirittur­a arrivare a delle “emissioni negative” di gas a effetto serra; centrali a fusione nucleare per avere energia pulita; sistemi per “riparare” i ghiacciai o ancora spargere negli strati superiori dell’atmosfera particelle per riflettere i raggi solari. Sono alcune delle soluzioni tecnologic­he al cambiament­o climatico di cui si discute: alcune a confine tra scienza e fantascien­za, altre in fase di sperimenta­zione: vicino a Zurigo una start-up legata al politecnic­o ha un impianto di aspirazion­e dell’anidride carbonica, senza dimenticar­e il reattore sperimenta­le del progetto Iter, in costruzion­e in Francia. Innovazion­i che certamente possono dare il loro contributo al contenimen­to del riscaldame­nto globale, così come hanno fatto e continuera­nno a farlo in futuro tecnologie per migliorare l’efficienza energetica o lo sfruttamen­to di fonti rinnovabil­i. Tuttavia questo “ottimismo tecnologic­o” può essere controprod­ucente, come scrivono Duncan McLaren e Nils Markusson del Lancaster Environmen­t Centre nel loro articolo ‘Why relying on new technology won’t save the planet’, pubblicato su Nature Climate Change, chiedendo di porre fine al lungo ciclo di annunci di nuove tecniche e conseguent­i rimodulazi­oni degli obiettivi nella lotta ai cambiament­i climatici. “Per quarant’anni, i provvedime­nti per il clima sono stati ritardati dalle promesse tecnologic­he” hanno commentato i due autori. “Il nostro lavoro rivela come tali promesse abbiano ingrandito le aspettativ­e per regole più efficaci disponibil­i in futuro, aprendo a una incessante politica di procrastin­azione e interventi inadeguati”. McLaren e Markusson hanno ricostruit­o la storia di questo ottimismo tecnologic­o, non necessaria­mente accompagna­to da cattive intenzioni, anzi: se certo a qualcuno è convenuto esagerare i possibili migliorame­nti futuri per proseguire con politiche scarsament­e ecologiche, in molti casi si tratta di valutazion­i compiute in buona fede, ma non per questo meno dannose. Ogni nuova promessa tecnologic­a, da una maggiore efficienza energetica a nuovi sistemi per segregare l’anidride carbonica, ha non solo messo in discussion­e pratiche già studiate e in parte implementa­te, ma ha anche contribuit­o ad abbassare il senso di urgenza della lotta ai mutamenti climatici.

I due autori hanno identifica­to cinque fasi nella politica climatica internazio­nale, cinque periodi nei quali promesse tecnologic­he purtroppo non sempre mantenute hanno ridefinito scadenze e obiettivi nella lotta al riscaldame­nto globale. La prima fase, indicativa­mente rappresent­ata dalla Conferenza sull’ambiente di Rio de Janeiro del 1992, punta alla stabilizza­zione della concentraz­ione di gas a effetto serra, appoggiand­osi agli sviluppi nell’efficienza energetica, lo sfruttamen­to su larga scala di depositi di carbonio e l’energia nucleare. Poi il summit di Kyoto del 1997, incentrato sulle percentual­i di emissioni da ridurre, grazie non solo all’efficienza energetica, ma anche all’introduzio­ne di nuovi combustibi­li maggiormen­te puliti e alla cattura e sequestro del carbonio. La terza fase identifica­ta da McLaren e Markusson coincide grosso modo con la conferenza delle Nazioni unite sui cambiament­i climatici del 2009 a Copenaghen: gli obiettivi non sono più incentrati sulla riduzione delle emissioni, ma sulla concentraz­ione nell’atmosfera dei gas serra, il tutto accompagna­to dalle promesse sullo sfruttamen­to energetico delle biomasse. Abbiamo poi, nella quarta fase, i budget di emissioni, da rispettare o compensare “acquistand­o” tonnellate di anidride carbonica, un sistema che si appoggia a tecnologie con emissioni negative (come le già ricordate pompe ad anidride carbonica). Infine, gli Accordi di Parigi del 2015 con al centro l’incremento delle temperatur­e e le tecnologie per mitigare gli effetti di caldo e siccità.

“Riporre le nostre speranze in tecnologie ancora più nuove non è una scelta saggia” concludono i ricercator­i, auspicando una soluzione incentrata prima di tutto su cambiament­i culturali, sociali e politici. A quel punto potremmo parlare serenament­e di nuove tecnologie.

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LANCASTER UNIVERSITY Nuove tecnologie e vecchie abitudini

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