Un diverso approccio alla morte
Questa crisi ci sta dicendo molto anche sul rapporto che le diverse culture d’Europa e del mondo hanno di fronte alla morte. Prima di tutto nel modo stesso in cui viene conteggiata una persona morta, questione già ampiamente dibattuta: se viene conteggiata come decesso di una persona che ha contratto il virus, o per cui la causa principale del decesso è il virus. Ma anche il modo in cui le autorità, i media e la popolazione stessa hanno reagito all’arrivo del virus sono molto diverse. Lo vediamo bene in Svizzera, dove se in Ticino la preoccupazione è elevata, a Zurigo, a quanto pare, si continua ad avere una vita più o meno normale nonostante la chiusura delle attività non essenziali. Chi ha ragione tra l’Italia e la Svezia? L’Italia che chiude tutto per arginare l’emergenza sanitaria, o la Svezia che non lo fa perché anche la salute mentale e le ripercussioni sociali ed economiche (violenze domestiche, disoccupazione, ecc.) devono essere prese in considerazione? Sono approcci diversi e la questione fa riflettere sul rapporto che noi stessi, popoli delle regioni d’Europa e individui (perché ognuno in questo è diverso in funzione della sua esperienza personale) abbiamo con la morte e con l’idea stessa di eutanasia, anch’essa accettata generalmente più al Nord che al Sud.
Il fattore culturale, quindi, è parte integrante nel modo in cui stiamo vivendo lo stesso identico problema oggettivo: un virus sconosciuto per cui ancora non esiste un vaccino né cure specifiche. Le differenze non sono solo nelle infrastrutture (sanitarie, economiche, sociali, ecc.), non sono solo nel metodo di conteggio dei decessi, ma anche nella percezione stessa del fenomeno tramite le lenti del fattore culturale (il sociologo francese Bourdieu lo chiamava "habitus") che è parte integrante del nostro modo di percepire e rappresentare la realtà. Ed è solo grazie a un confronto, non solo degli aspetti sanitari, economici e sociali e di come in futuro affrontare altre pandemie, ma anche dei diversi modi di percepire quello che sta succedendo che arriveremo a una comprensione globale e condivisa del fenomeno, cosa che la separazione in stati, cantoni, regioni, ecc. non sempre facilita.