Couchepin in tempo di pandemia
L’idea del 78enne ex consigliere federale vallesano: rilanciare ‘dal basso’ il turismo
L’ex consigliere federale racconta come vive la situazione (‘bene’) e spiega come andrebbe rilanciato il turismo (‘dal basso’). ‘Grave errore’ del Consiglio federale sul 5G.
Signor Couchepin, come vive questa situazione straordinaria?
Bene. Sono privilegiato. Ho un giardino (a Martigny, ndr), i miei familiari vengono lì e ci salutiamo. Sono in buona forma fisica. A mia moglie piace preparare piatti nuovi. Leggo. Ho numerosi contatti umani. Non vorrei dire che sono quasi più felice. Ma in ogni caso non sono infelice.
Quando esce di casa indossa una mascherina?
Evito di andare nei luoghi dove c’è parecchia gente. Ogni mattina esco a comprare il pane, sapendo di essere solo nella panetteria. Scambio due parole. Poi, tornando, lascio il pane sulla finestra dell’appartamento di mio figlio. Se devo andare in banca, o qualcosa del genere, prima telefono: quando sono lì firmo e poi riparto subito. I miei figli fanno la spesa per noi. Voilà.
Niente mascherina, dunque.
No, per il momento. Ma la prossima settimana andrò dal barbiere. A casa ho qualche mascherina. Ne utilizzerò una, poi la metterò nel forno a 70 gradi. Come mi è stato indicato.
Il Consiglio federale ha presentato un piano di uscita graduale dal ‘lockdown’ molto prudente. Come lo giudica?
Ragionevole, nel complesso. Alcuni partiti, il mio in particolare (il Plr, ndr), vorrebbero un’uscita più rapida. Se fossi in governo, li ascolterei e penserei che in fondo, forse, hanno ragione. Ma i rischi di un’uscita troppo veloce sarebbero sproporzionati rispetto ai danni che i piccoli commerci subiscono nell’attesa di essere messi sullo stesso piano della grande distribuzione. Credo che il Consiglio federale abbia agito in modo prudente dal punto di vista politico. Giusto è stato ad esempio volere un confinamento “liberale”, fedele alla Svizzera, che è un Paese d’autorità ma non autoritario. Si è contato molto sul buon senso della popolazione e sul controllo sociale. Ed è stata una buona cosa.
La ristorazione e il settore alberghiero lanciano un grido d’allarme. La presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga ha invitato i loro rappresentanti a un incontro a Berna, domenica. Cosa s’aspetta?
Tutti i Paesi europei, non solo la Svizzera, sono colpiti dalle restrizioni. Se questi settori venissero autorizzati a riaprire prima, ci sarebbe comunque un problema di clientela: si potrebbe contare praticamente solo su quella svizzera. Alcuni giorni in più, per riflettere su come si potrebbe rianimare il turismo nelle diverse regioni, non saranno giorni perduti.
Da dove si dovrebbe cominciare?
In Vallese, per esempio, bisognerebbe riunire un certo numero di ‘attori’ per vedere quali sono le idee di rilancio. Una potrebbe essere alleggerire un po’ il carico fiscale dei proprietari di residenze secondarie che affittano i loro immobili. Si tratta di rianimare il turismo partendo dagli attori del settore, e non dallo Stato che distribuisce – non sempre bene – dei soldi. In Vallese non siamo messi così male. Abbiamo soppresso gli eventi culturali, sì. Ma stamattina (ieri per chi legge, ndr), passeggiando, mi chiedevo se non sia possibile fare delle animazioni turistiche decentralizzate, comune per comune, con piccoli gruppi di 50-100 persone. Dobbiamo moltiplicare le iniziative sul piano comunale, nelle città e nei paesi.
Lo Stato interviene in maniera importante per sostenere le aziende e i lavoratori in difficoltà. Non teme un’esplosione del debito pubblico?
La proporzione del debito pubblico rispetto al Prodotto interno lordo aumenterà, questo sì. Ma il debito pubblico della Confederazione è relativamente basso. Grazie ai partiti borghesi è stato nettamente ridotto negli ultimi anni. La sinistra ha continuato a dire che bisognava spendere tutti i soldi disponibili, e anche di più. L’idea è stata respinta, e siamo stati accorti a farlo. Per di più, buona parte degli aiuti erogati dalla Confederazione sono prestiti, non soldi a fondo perso. Invece la situazione per cantoni come il Vallese e il Ticino è più seria. Qui sarà necessario un dibattito politico, sia nel Gran Consiglio che nella popolazione, affinché i governi cantonali siano chiamati a rendere conto, a dimostrare qual è l’efficacia delle misure prese.
A sinistra si invoca un piano congiunturale, con investimenti statali e altri interventi per rilanciare i consumi. Cosa ne pensa?
Investire per fare cosa? Ho sentito il signor Levrat (Christian, presidente del Ps: ndr) dire che bisogna dare 200 franchi a ogni abitante per far crescere i consumi privati. Ho incontrato diverse persone che mi dicono che nelle ultime settimane hanno risparmiato, perché non hanno potuto uscire di casa. La maggior parte della popolazione continua a ricevere lo stipendio o le prestazioni sociali. Certo, chi è nel bisogno va aiutato. Ma distribuire a ciascuno 200 franchi vuol dire rischiare di spendere invano. La sinistra, ma in un certo senso anch’io, da anni sostiene che bisogna andare verso una società più sobria. Adesso non può tutt’a un tratto venirci a dire che è necessario rilanciare i consumi, per giunta in maniera indifferenziata e con i mezzi dello Stato.
Levrat dice anche che bisogna sviluppare le infrastrutture. Ma quali infrastrutture? Le strade, le ferrovie? Le capacità sono limitate. Più intelligente sarebbe stato investire nello sviluppo della rete 5G. Il Consiglio federale però ha rinunciato a farlo. E a mio parere ha fatto un grave errore, perché questo sarebbe stato un mezzo di rilancio importante.
In una recente intervista al ‘Tages-Anzeiger’, a proposito delle forniture in ambito medico, ha affermato: “Questa dipendenza dalla Cina mi preoccupa”. Si può tornare indietro? Come?
Ci siamo spinti molto lontano. Ciò aveva una sua logica. La Cina, per la sua potenza produttiva, è stata in tutti questi anni un fattore importante di limitazione dell’inflazione. Ma si tratta pur sempre di uno Stato autoritario. E per la Svizzera dipendere da uno Stato autoritario per quanto riguarda le forniture essenziali, è un po’ delicato. Tra Paesi vicini, o a livello di Unione europea, bisognerebbe riflettere su come evitare in futuro un’eccessiva dipendenza da un solo Paese, e ristabilire invece delle fonti di approvvigionamento locali o diversificate per determinati prodotti.