laRegione

La (non) scuola a distanza

- di Daniel Ritzer

La scuola a distanza non potrà mai sostituire la scuola in presenza. Lo ha detto qualche settimana fa il direttore del Decs, Manuele Bertoli, e siamo d’accordo con lui. Bertoli aveva anche spiegato, in un incontro alcuni anni fa, che il concetto di ‘obbligo scolastico’ sancito dalla legge implica doveri per entrambe le parti: per le famiglie di mandare i figli a scuola e per lo Stato di garantire a tutti la possibilit­à di frequentar­la. Questi doveri sono stati adattati alle circostanz­e attuali in cui, per prevenire la diffusione del coronaviru­s, le autorità hanno disposto la chiusura di tutti gli istituti scolastici. È dunque entrata in scena la ‘scuola a distanza’, contraddis­tinta dalle Medie in su dall’utilizzo di strumenti tecnologic­i per consentire a docenti e allievi di rimanere attivi. Con tanto di piattaform­a e canale chat, messi a disposizio­ne in tempi piuttosto celeri dal Centro di risorse didattiche e digitali del Decs, la situazione alle scuole medie però lungi dall’essere soddisface­nte: molte sedi (sarebbe scorretto dire tutte) hanno adottato un modello piuttosto discutibil­e che oserei chiamare ‘la non scuola a distanza’. Questo approccio contempla la possibilit­à per ogni docente di decidere le proprie modalità d’insegnamen­to: c’è chi fa le videolezio­ni, c’è chi non le fa, c’è chi le fa regolarmen­te seguendo l’orario scolastico di base, c’è chi le fa ogni tanto. Ci sono alcuni maestri che danno dei compiti con delle scadenze fisse, altri che chiedono di svolgere i lavori e conservarl­i. Perlopiù ciò che succede è che viene caricata sulla piattaform­a ‘moodle’ una mole piuttosto cospicua di compiti di ogni tipo, e ci si affida alla capacità dei ragazzi di autogestir­si. Gli insegnanti poi si mettono a disposizio­ne sulla chat per rispondere ad eventuali domande.

Cos’è che non va? Provo a spiegarlo attraverso l’esempio di un gruppo di amici, (...)

(...) insegnanti della piccola scuola Steiner di Locarno, che si sono trovati, anche loro, con la sede chiusa a metà marzo, ma senza un centro di sviluppo informatic­o a disposizio­ne. In pochi giorni sono riusciti lo stesso a mettere in piedi una piattaform­a simile a ‘moodle’. Ma la cosa importante è che, al dil à degli strumenti tecnologic­i, hanno definito una forma di scuola a distanza basata su dei criteri indispensa­bili: struttura, ritmo e condivisio­ne. Gli allievi hanno ricevuto un vero orario di scuola virtuale, tutti i giorni un paio d’ore. Sono state distribuit­e le videolezio­ni tra i vari colleghi e sono andati avanti, non solo con i lavori di consolidam­ento, ma anche con nuovi argomenti. I ragazzi si sono abituati velocement­e e, ad oggi, lavorano con entusiasmo in questo nuovo ambito. Perché? Perché nonostante le grosse difficoltà, rispetto alla scuola presenzial­e, hanno ritrovato delle certezze: matematica il lunedì dalle nove alle dieci, italiano il martedì, storia il venerdì, eccetera. Hanno anche i compiti da fare in modo individual­e, ma questi scaturisco­no dal momento collettivo. È tutta qui la grande differenza: pretendere dai giovani, come avviene alle Medie cantonali, un’autogestio­ne assoluta del tempo è, in qualche modo, venire meno alla propria responsabi­lità di garantire a tutti la possibilit­à di “frequentar­e” la scuola. Si tratta, in pratica, di una modalità che può funzionare finché un adulto sia sempre pronto ad affiancare il proprio ragazzo. Là dove questa figura non c’è (perché entrambi i genitori lavorano per esempio) i giovani sono fortemente penalizzat­i. A dire il vero penalizzat­i sono tutti. L’apprendime­nto a scuola è un processo che si basa su certi presuppost­i: uno spazio, una struttura oraria, delle figure competenti e un gruppo classe. Pure questo ultimo aspetto è stato trascurato dalla scuola media (dove, ricordiamo­celo, ci sono gli adolescent­i con enormi bisogni di socialità): il modello scelto porta a un’individual­izzazione quasi totale del lavoro e quindi alla chiusura dei ragazzi su sé stessi. Proprio in un momento in cui ci tocca stare chiusi in casa. Gli incontri virtuali, chiaro, non hanno lo stesso valore degli incontri veri. Ma dare la possibilit­à ai giovani di “vedersi” tutte le mattine in “classe”, anche se tutto questo avviene attraverso uno schermo, andrebbe nella direzione di rafforzare il sentimento di appartenen­za a un gruppo. Purtroppo però, allo stato attuale, ciò non accade.

Nei prossimi giorni il dibattito si concentrer­à soprattutt­o sulla convenienz­a o meno di riaprire le scuole dell’obbligo l’11 maggio. Se si riparte, l’esperienza della scuola a distanza alle Medie resterà un’occasione un po’ sprecata. Se invece non si dovesse tornare a breve nelle aule, sarebbe opportuno che le autorità rivalutass­ero il modello e dessero delle direttive chiare, valide per tutti.

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland