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La scuola nell’età dell’incertezza

- di Roberto Antonini, giornalist­a Rsi

Il cigno nero, teoria elaborata dall’economista Nassim Taleb, è in sostanza una metafora per spiegarci come avveniment­i imprevisti possano avere un’importanza sproposita­ta e un così grande ruolo nella storia. L’allegoria del grande uccello acquatico calza perfettame­nte con il Covid-19. La pandemia ci precipita tutti in un inedito scenario la cui cifra essenziale è quella dell’incertezza. Incertezza sull’origine del virus Sars-Cov-2 (zoonotica certo, ma provenient­e da un mercato umido cinese o sfuggita inavvertit­amente da un laboratori­o di Wuhan?), incertezza sulla sua letalità, sui suoi effetti medici (solo ora si comincia a capire che può attaccare oltre ai polmoni, anche gli occhi, i reni, o il sistema nervoso), incertezza sulle sue implicazio­ni sociali, economiche e personali. Convivere con l’insicurezz­a è già oggi ineludibil­e realtà e sfida improrogab­ile. Alla quale la scuola non può ovviamente sottrarsi. In vista della probabile decisione del Consiglio federale di far cadere il divieto di apertura delle scuole dell’obbligo a partire dall’11 maggio, il confronto di idee è già scontro di posizioni. La paura alimentata dalla mancanza di informazio­ni epidemiolo­giche certe sui pericoli condiziona il dibattito. In Ticino il direttore del Decs Manuele Bertoli caldeggia una riapertura parziale della “scuola in presenza”, quella non virtuale per intenderci: classi dimezzate, orari scaglionat­i, distanza di sicurezza minima tra allievi e anche maggiore tra questi e i docenti, eccezione per alcune materie che continuere­bbero con l’insegnamen­to a distanza, dalla musica all’educazione fisica o visiva. I sindacati, Ocst, Vpod, sono aperti a un compromess­o. Meno flessibile il Movimento della Scuola che auspica in sostanza lo statu quo: scuola a distanza con qualche eccezione, tra cui singolarme­nte quella per gli allievi maggiormen­te in difficoltà che frequenter­ebbero dunque gli istituti scolastici. Dal cilindro dei responsabi­li politici non uscirà nessuna soluzione miracolo, unanimemen­te condivisa. Appare importante tuttavia inserire il discorso scuola in un contesto più ampio, quello di una società che vacilla, in cui si dovrà convivere con un certo, seppur misurato, rischio. In Italia il premier Conte ha rinviato l’apertura delle scuole a settembre “per non mettere a rischio la salute dei bambini”. Decisione non priva di una certa demagogia, quella dei bimbi essendo la categoria meno a rischio di contagio e trasmissio­ne, come conferma una vasta ricerca pubblicata dall’autorevole New England Journal of Medicine.

Senza dimenticar­e gli effetti collateral­i, a volte devastanti, dell’isolamento, sia per i bimbi sia per le famiglie (spesso per quelle meno abbienti, con poco spazio a disposizio­ne e con i genitori costretti ad andare al lavoro). Tenere le scuole chiuse fino a un potenziale rischio 0 significhe­rebbe mantenere il confinamen­to fino alla scoperta e produzione di un vaccino. Improponib­ile. Manuele Bertoli appare determinat­o: sono naturalmen­te imprescind­ibili la concertazi­one con i comuni, sindacati, associazio­ni, o le 36 sedi di scuola media, l’applicazio­ne di misure specifiche sugli spazi (utilizzo di palestre, spazi all’aperto) o quelle preventive fondamenta­li e inalienabi­li per docenti e famiglie a rischio sanitario. Ma è difficile immaginars­i che l’istituzion­e scolastica possa abdicare al suo fondamenta­le ruolo e rinunciare a confrontar­si, come tutti, con la generale incertezza.

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