Scuole diversamente… serie
Un approccio alternativo, e un po’ irriverente, all’insegnamento a distanza
Nei giorni seguenti alla chiusura delle scuole in Ticino, mi sono immaginato nuovi approcci all’insegnamento a partire dalla situazione in cui siamo costretti ormai da qualche settimana. Incerto sulla possibilità di continuare a fare scuola normalmente, come se niente fosse, ho provato a immaginare come i docenti potessero interpretare, in modo spensierato, il loro ruolo nelle nuove condizioni di lavoro.
Ecco che allora ho ipotizzato che gli insegnanti delle materie scientifiche potessero scrivere ai loro allievi, via email, il seguente messaggio: “Cari ragazzi e ragazze, come sapete in questo momento ci tocca essere sensibili e pazienti, per immaginare una scuola che possa andare avanti anche in situazione di crisi: anche con modalità inaspettate, creative e immaginative. Perché il buon docente, l’ho imparato negli anni, è quello che sa fare ciò che i suoi allievi non si aspettano da lui. Questo è l’unico antidoto contro la noia e la monotonia. Bisogna sapersi reinventare, anche in maniera sorprendente. Per questo, nella situazione delicata e critica in cui ci troviamo, nelle prossime settimane vi darò delle consegne semplici, facili da capire, che possano arricchire la vostra giornata e affinare le vostre competenze scientifiche. Quindi prendete nota: nelle prossime due settimane dovrete guardare le prime due stagioni di
Guardatele bene, con attenzione, senza distrarvi. Fra due settimane vi manderò una scheda con delle domande. Avrete tempo una settimana per completarla, dopodiché riceverete un feedback costruttivo da parte mia. Mi raccomodando, massima concertazione”.
La cultura delle pratiche
Il riferimento alla serie tv molto diffusa e popolare non era casuale. Non è forse interessante che una serie televisiva dedicata a un gruppo di nerd, e intrisa di riferimenti alla cultura scientifica contemporanea, diventi un prodotto di intrattenimento fortemente diffuso e popolare? In la cultura scientifica, in un contesto di fiction e di intrattenimento, è il tema centrale. Gli altri temi, come l’inettitudine sociale dei giovani ricercatori, o la discrepanza fra la complessità del sapere scientifico e l’immediatezza dell’intelligenza pratica, sono in qualche modo collegati al filo rosso della ricerca scientifica. In questo senso, mi ero detto, una lezione da apprendere c’era. E non solo per gli allievi, primi beneficiari della cultura scolastica, ma anche per gli insegnanti. A patto che, ovviamente, dietro la superficie del puro intrattenimento, tanto gli uni che gli altri scoprissero (e magari approfondissero) i riferimenti alla cultura scientifica. Del resto, chi mastica un po’ di antropologia sa fin troppo bene che la cultura non è solo un insieme di conoscenze e nozioni ornamentali incarnate dalla figura del dotto. È anche, e forse soprattutto, un insieme di pratiche, di strategie, di scorciatoie e trucchi, di modi di fare e di vivere che ciascuno di noi mette in campo in modo più o meno disinvolto. La cultura scientifica e la cultura dei nerd sono intrecciate, non è così complicato capirlo.
Dal canto loro, mi dicevo, i prof di educazione fisica non sarebbero certo rimasti con le mani in mano. Le direttive delle autorità erano chiare, e nessuno avrebbe consigliato partitelle di calcio improvvisate; il salutare jogging in zone isolate, poi, stava diventando problematico, sicché il runner sempre più veniva identificato con il nuovo untore mettendo in luce meccanismi proiettivi poco incoraggianti. In queste condizioni di restrizione, i prof di educazione fisica potevano consigliare agli allievi di esercitarsi a riproporre, nel contesto dei salotti domestici, le coreografie di alcune delle boy bands e girl groups più in vista degli anni 90, trasformando genitori, fratellini e sorelline in un corpo di ballo. Avete presente quei balli, e quelle coreografie? Cose serie, impegnative, corali: un concentrato di adrenalina, movimenti e ritmi indiavolati, con flessioni del corpo anche molto temerarie, frenetiche, estenuanti. E dato che quei gruppi musicali fanno ormai parte del patrimonio audiovisivo della cultura pop contemporanea, gli insegnanti di ginnastica potevano inaugurare una collaborazione interdisciplinare con i colleghi di arti plastiche, previo un piccolo accorgimento. Un lieve, e revocabile, cambiamento nel nome della materia che avrebbe portato ARTI PLASTICHE a chiamarsi ARTI PLASTICI. Un cambiamento, mi pareva, portatore di nuove acquisizioni e competenze trasversali. Per non parlare della flessibilità accresciuta, oltre che degli arti, della ricettività pedagogica di allievi e docenti. Cultura, quindi, è anche il modo in cui un docente si ingegna nel proporre una serie tv, o dei video musicali, nel contesto di un insegnamento a distanza. E se tirare in ballo serie tv e video musicali anni 90 appare forse un tantino irriverente, sono convinto che molti docenti avranno modo di trovare soluzioni creative anche rimanendo su terreni più convenzionali. Ma ricordiamoci pure che la cultura, in senso ampio, è creatività, invenzione, capacità di ridescrizione del mondo; come quella di chi, attraverso la parola, decide di raccontare il presente in modo nuovo e intelligente. A sostegno di questa idea, mi viene in mente una bella filastrocca di Roberto Piumini. Contattato dall’Humanitas – un ospedale di Milano – Piumini, scrittore italiano particolarmente attratto dal mondo dei giovani, ha accettato di scrivere a proposito del coronavirus per i bambini. In modo preciso, ma senza creare ansia e paura. La filastrocca è un vero gioiello. Inizia così: “Che cos’è che in aria vola? / C’è qualcosa che non so? / Come mai non si va a scuola? / Ora ne parliamo un po’. / Virus porta la corona, / ma di certo non è un re, / e nemmeno una persona”.