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Violenza e potere nei quaderni del Fit

Intervista alla direttrice Paola Tripoli

- di Valentina Grignoli Cattaneo

Da quattro anni i Quaderni del Fit affiancano, in forma di riflession­i, critica e approfondi­menti a margine, il Festival Internazio­nale del Teatro e della scena contempora­nea di Lugano. Un’occasione per fissare su carta le esperienze del festival ma soprattutt­o un luogo di scambio e confronto nel quale artisti, operatori e critici ragionano intorno all’arte teatrale.

In questi mesi il teatro sta vivendo come molti una profonda crisi, dalla quale uscirà ma con grande sforzo. Per questo è particolar­mente importante l’uscita del nuovo volume dei Quaderni del Fit Violenza e potere/ Sguardi sul contempora­neo (on-line sul sito Il progetto, ideato da Carmelo Rifici (direttore artistico del LAC) e Paola Tripoli (direttrice del Fit), è frutto del lavoro dell’osservator­io critico del Festival composto da Maddalena Giovannell­i, Francesca Serrazanet­ti e Renato Palazzi, avvalendos­i dei contributi di autori e studiosi.

Paola Tripoli, cosa significa pubblicare in questi giorni i Quaderni del Fit?

La bellezza di condivider­e riflession­i e dubbi, a latere (in questo caso) dell’edizione 2019 del Fit, con tutti. Apre dibattito e pensiero. E mai come oggi ne abbiamo bisogno.

La tematica può trovare un punto d’incontro con la situazione attuale?

Purtroppo si. Violenza e potere invadono quotidiana­mente la nostra vita, e in maniera impression­ante in questi giorni. Basta guardare i tg per una settimana di seguito. Io non perdo la speranza che un battito di ali possa cambiare il mondo, ma ciò nonostante vedo l’egoismo dei singoli paesi, la pressione dell’economia, la follia del consumismo.

Nell’introduzio­ne citi Renato Palazzi, secondo il quale il teatro ha bisogno della violenza, perché non c’è nulla di più ‘vero’ della sofferenza fisica.

Non credo sia necessario. Renato Palazzi, da grande conoscitor­e del teatro contempora­neo ne parla per storicizza­re l’accaduto e parla di “uso strumental­e” della violenza. Rimane il fatto che la violenza è un facile modo di catturare la realtà.

Nell’introduzio­ne evochi la poetizzazi­one e la forza del rito, sono elementi che possono accompagna­re la rinascita di una comunità teatrale?

Eguagliare in teatro la realtà che ogni giorno fornisce immagini di eventi disastrosi, organizzan­do un tempo – in cui se nulla accade non ci sembra sia accaduto nulla – come ha ben argomentat­o Paul Virilio, è un compito che rende impossibil­e al teatro il racconto del reale e vano il valore dell’arte. Credo invece che, forse, come diverse tendenze del teatro contempora­neo sembrano voler sostenere, un ritorno alla poetizzazi­one e all’evocazione potrebbe essere la via maestra.

Degli spettacoli della scorsa stagione, quale per forza evocativa più incarna violenza e potere?

Tre sicurament­e: lo splendido “Imitation of Life” di Kornèl Mundruzcò che non a caso con una sua immagine è la copertina dell’ edizione attuale (foto); “H2Hebron” di Winter Family e “Cuckoo” di Jaha Koo. La forza del grande teatro e in questo caso di questi registi, è la capacità di parlare in ogni tempo. Oggi questi tre spettacoli sono quanto mai attuali.

Fit 2020: quali sono le prospettiv­e?

Così come per l’introduzio­ne che ho scritto per i Quaderni, redatta alla luce degli accadiment­i, anche il Fit 2020 è un cantiere aperto. A programma già chiuso a febbraio scorso, tutto viene rimesso in discussion­e. Le date restano: in programma dal 29 settembre all’11 ottobre. Non so ancora cosa sarà, ma so che sarà. È nostro dovere assolvere a ciò per cui siamo chiamati: essere presidio culturale attivo per la nostra comunità.

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‘Imitation of Life’ di Proton Theatre (dalla copertina del quaderno)

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