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Riaprire le scuole?

- Di Fiorenzo Dadò, presidente cantonale Ppd

In questi giorni si discute circa la riapertura della scuola dell’obbligo, dopo che era stata chiusa il 16 marzo. Anche noi, come altri, ci siamo chiesti se questo allentamen­to sia giustifica­to o se non sia il caso di percorrere altre strade. Vi sono per qualsiasi soluzione si scegliesse dei pro e dei contro. A 20 giorni dalla fine del calendario scolastico è lecito tuttavia chiedersi se la riprea delle lezioni in aula sia indispensa­bile. Riaprire ora richiedere­bbe sforzi sproporzio­nati sia al Cantone, che ai Comuni. Pensiamo anche solo al trasporto sui bus, alla logistica adeguata alle distanze sociali, all’organizzaz­ione generale delle lezioni a ranghi ridotti.

Un gran lavoro con il rischio di riattivare un contagio per ora sotto controllo, mettendo oltretutto a repentagli­o la salute dei docenti più in là con gli anni e con il rischio di tornare al punto di partenza. Ora, se proprio non si può fare a meno di riaprire, ci si chiede se non sarebbe meglio limitare la riapertura unicamente alle classi di fine ciclo e agli allievi più in difficoltà o che dovranno svolgere gli esami. Per contro, il Governo e gli esperti dovrebbero impegnarsi per proporre delle soluzioni urgenti in grado di colmare il gap formativo che si è venuto a creare, come per esempio dei corsi estivi di recupero per piccoli gruppi e un inizio anticipato delle lezioni in aula a metà agosto. Vi è tuttavia anche un altro problema del quale nessuno parla ma che richiede una soluzione, e cioè quello dell’accudiment­o dei bambini e dei ragazzi durante l’estate, in particolar­e per dare una mano ai genitori costretti a lavorare, ai quali venivano in soccorso i parenti in pensione, i nonni e in parte le colonie. Come pensiamo di far fronte a questa esigenza, visto che né il virus né la salute dei nonni andranno in vacanza? Oltre a questo, bisognerà affrontare anche la questione educativa che, pur con tutta la buona volontà dimostrata dai docenti attraverso le lezioni online, non si può pensare si risolva da sola. È da discutere con persone qualificat­e e poi affrontare con soluzioni chiare e possibilme­nte pratiche, perché i ragazzi hanno bisogno di recuperare conoscenze nozionisti­che ma soprattutt­o interiori, non attraverso una connession­e internet e uno schermo, bensì con esperienze fisiche, composte da relazioni sociali in cui è possibile guardarsi in faccia, ridere, divertirsi e confrontar­si con gli altri giovani e con i propri docenti. Anche i nostri bambini e ragazzi hanno capito che non va affatto tutto bene e mai come nell’isolamento e nelle avversità anche loro hanno bisogno di risposte e di non sentirsi soli a lottare. Immaginiam­oci cosa significhi tutto questo trambusto e la negatività che circola per dei ragazzi nel pieno della fase evolutiva. Un aspetto, questo, che se i nostri giovani staranno segregati fino a settembre, magari sul divano davanti alla television­e, rischierà di lasciare il segno.

In questi due mesi abbiamo discusso di tutto, ci siamo occupati delle emergenze, delle restrizion­i e ora della ripartenza dell’economia. Ma in tutta questa discussion­e abbiamo dimenticat­o i bambini e i giovani; ora dobbiamo colmare questa lacuna. Emblematic­he le parole pronunciat­e dal Segretario di Stato per l’istruzione nel Regno Unito Gavin Williamson, che rivolgendo­si ai bambini ha detto: “Voglio che sappiate quanto mi dispiace che la vostra istruzione sia stata interrotta in questa maniera. Sappiate che anche voi siete una parte così importante di questa lotta, e non potrei ringraziar­vi abbastanza per quello che state facendo”.

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