Gli aspetti etici del contact tracing
Il “contact tracing” è una misura dall’utilità ormai dimostrata nella lotta alle epidemie d’origine virale: (...)
(...) consiste nel tentativo di identificare il maggior numero di persone che si sono trovate in stretto contatto fisico con un soggetto contagiato. In genere, i contatti sono ricavati in maniera analogica mediante il recupero di dati personali, ma tale metodo è molto dispendioso e impreciso.
Attualmente, il Consiglio Federale sta discutendo l’impiego di un sistema digitalizzato, chiamato PEPP-PT e basato su un’applicazione tramite Bluetooth, che raccoglie i dati in forma anonima di persone che si sono trovate a meno di 2 metri e per almeno 15 minuti con una persona risultata positiva al test del Covid-19.
Sebbene non vi siano particolari considerazioni etiche sulla “ricerca digitalizzata”, la Commissione nazionale di etica di medicina (Cne) ritiene che questa metodologia possa ledere la sfera privata degli individui. Per questo motivo essa ritiene che tale misura, anche in tempi di pandemia, sia da impiegare soltanto dopo averne valutato con cura il principio di proporzionalità. In tal senso, il “contact tracing” potrebbe servire per limitare almeno temporaneamente le privazioni delle libertà individuali come l’isolamento delle persone anziane rispettivamente il divieto di riunirsi al di fuori della cerchia famigliare, misure che comportano disagi psicologici, sociali ed economici. Per ottemperare al “principio di proporzionalità”, per la Cne occorre rispettare i seguenti criteri etici: 1) l’uso del “contact tracing” deve essere volontario 2) la localizzazione in tempo reale non è permessa 3) la metodologia digitale può essere usata soltanto nell’ambito di una strategia globale della lotta alla pandemia 4) la comunicazione alla popolazione deve avvenire in modo trasparente, completo e regolare 5) la “ricerca di contatto” digitale deve essere limitata nel tempo 6) la procedura deve essere controllata dallo Stato, soprattutto se fosse gestita da privati 7) l’implementazione dovrebbe essere coordinata su base internazionale.
A nostro avviso, la volontarietà rispettivamente il consenso necessario restano dei dilemmi etico-politici ancora da risolvere, non da ultimo perché per essere efficaci sotto il profilo della tutela della salute pubblica, i sistemi di tracciamento della popolazione devono garantire la massima diffusione. Il loro scarso utilizzo da un punto di vista numerico non permetterebbe di raggiungere il loro obiettivo finale di tutela della collettività. Occorre sottolineare che il “contact tracing”, attualmente, per la Svizzera è soltanto uno strumento per la lotta alla pandemia e che si tratta di un esperimento tecnico e sociale nell’ambito dello “stato di necessità”. In futuro, il Consiglio Federale dovrà decidere con grande trasparenza, almeno in questo campo così delicato rispetto alle libertà personali e alla privacy individuale, e non dovrebbe delegare le scelte e le conseguenti responsabilità a società private o enti di ricerca. Un’operazione assolutamente trasparente permetterebbe di facilitare l’accettazione di una limitazione così importante delle libertà personali, in modo particolare se la scelta non fosse volontaria. salvo la catena alimentare, dei medicamenti e dei servizi essenziali dello Stato. Per solidarietà diedi la mia firma, ma suggerendo anche che si procedesse ‘da subito’ ad analizzare tutte le attività produttive fissando per ciascuna di esse delle regole di sicurezza sanitaria; obbiettivo: quello di non smettere di lavorare per troppo tempo e in troppi settori. Oggi, anche se con ritardo, si è imboccata questa strada delle regole e speriamo che si riparta presto con una vita normale. Nel frattempo si comincia a dire che tutto il mondo è a rischio di una tremenda depressione, si evoca quella del 1929, che ha impoverito mezzo mondo per oltre dieci anni. Ma guarda!
Le strutture sanitarie impreparate in tutto il mondo, le scarse conoscenze del virus e delle modalità per affrontarlo, hanno dato luogo in vari Paesi a una serie di procedure diverse fra di loro. Si doveva forse fare un po’ di più per fare lavorare la gente, dando da subito regole severe ed efficaci, controllando che fossero rispettate. Ci servirà da lezione? Speriamo di no, ovviamente.
Sono settimane che siamo sommersi da raccomandazioni e divieti, dati giornalieri della pandemia intercalati da considerazioni su un futuro di povertà inevitabile. Come sempre la Svizzera ha fatto meglio di tutti... Manca però anche solo un accenno alla necessità che le massime autorità sanitarie e politiche mondiali facciano il loro dovere, e cioè che:
- ci dicano come e perché questo virus si sia sviluppato e diffuso così rapidamente, ci sono troppe versioni.
- ma più di tutto cosa si deve fare, ripeto DEVE FARE, per rendere tutto ciò impossibile a ripetersi.
Oppure qualcuno di noi è disposto a vivere in questo mondo con la minaccia che una altra pandemia possa ripetersi? Cosa siamo disposti a fare o a pagare affinché questo non sia mai più possibile? E intendo MAI PIÙ! Oltre ai numeri pandemici giornalieri, ai divieti totali senza alternative e alle lunghe attese di una libertà toltaci con tanta naturalezza, non abbiamo magari il diritto, oltre a sperare in un vaccino che arriverà forse fra 18 mesi e servirà solo per questa pandemia, che chi ci governa studi il problema per risolverlo alla radice? O che almeno ci provi? Possibile che l’umanità supinamente accetti questa minaccia alla sua salute e al suo benessere senza porsi il problema essenziale che ci sta di fronte, la necessità di estirpare o almeno limitare le origini delle pandemie? Dopo le migliaia di messaggi ricevuti in questi giorni, con la firma di tanti scienziati, giornalisti, noti e oscuri, e di illustri sconosciuti, ancora aspettiamo una presa di posizione ufficiale autorevole su questo problema. Non se ne parla mai. E non ci si dica che le pandemie ci sono sempre state e non c’è niente da fare per evitarle, per definizione si deve creare un impegno globale a combatterle fin dall’origine. Vediamo un po’:
Se i virus possono scappare dai laboratori dove sono studiati, (sì, perché anche questa è un’ipotesi, la fuga dal laboratorio di Wuhan) alziamo i livelli di sicurezza in questi laboratori, come abbiamo fatto col nucleare, e limitiamo le libertà di operare nel settore, proprio come col nucleare. Senza ovviamente aspettare che a farlo sia l’Organizzazione mondiale della sanità, tra l’altro in mano ai Cinesi.
Se vengono invece, ipotesi la più accreditata nel mondo, dai mercatini di animali vivi commestibili, cinesi e non, dove si vendono pipistrelli e animaletti vari tenuti promiscuamente in gabbiette anguste, decidiamoci a vietare queste pratiche barbare, ributtanti e pericolose per tutti. Proibiamoli o discipliniamoli. Anche qui, prima di dire che è impossibile perché sono troppi e lontani, pensiamo alle difficoltà e ai danni e ai morti che abbiamo subito e che subiremo, e allora magari capiremo che vale la pena di partire per questa strada. Dai tempi della spagnola la scienza è progredita e i rapporti fra Paesi si sono integrati. Altrimenti ricominciamo a viaggiare da e per certi Paesi solo dopo vaccinazioni appropriate. Rialziamo le frontiere sanitarie. Non molti anni fa era obbligo fare il vaccino contro il vaiolo e la febbre gialla prima di andare in Asia e in Africa. Noioso e faticoso? Sì, ma molto meno di quanto tutti stiamo passando in termini economici, sanitari e, molto importante, di qualità della nostra vita famigliare, democratica e politica. Ecco perché c’è da sperare, ed esigere se necessario, che chi ci governa risolva questo enorme dramma potenziale, con estrema decisione. Non in sei mesi, ma impiegando tempi e mezzi appropriati, senza tentennamenti. Ne va della nostra civiltà.