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Le follie del Premio Nobel

Dopo le bufale di Luc Montagnier, come orientarci tra le dichiarazi­oni degli esperti

- di Ivo Silvestro

Tutte le prove di cui disponiamo indicano che il nuovo coronaviru­s Sars-CoV-2 è di origine naturale: così scrivevamo il 27 marzo scorso e così occorre ribadire, a poco più di un mese di distanza, dal momento che con qualche variazione la bufala sull’origine artificial­e del virus continua a circolare, nonostante la comunità scientific­a concordi sul salto di specie, avvenuto verosimilm­ente in un mercato di animali selvatici. Variazioni nella bufala, dicevamo: non più un’arma biologica accidental­mente liberata, bensì un vaccino per l’Hiv che i cinesi stavano sviluppand­o usando il coronaviru­s come vettore. La prova starebbe nella presenza, all’interno del genoma del nuovo coronaviru­s, di alcune sequenze del virus dell’Hiv; ma il problema non sono le prove – come si vedrà, praticamen­te inesistent­i – bensì l’autorevole­zza di chi, in un’intervista, ha rilanciato questa bufala: un virologo premio Nobel per la medicina. E giustament­e un non esperto in questioni di virus e genomi – cioè la maggioranz­a della popolazion­e – si chiede per quale motivo non dovrebbe credere alle parole di una persona che ha vinto quello che è considerat­o il massimo riconoscim­ento scientific­o, fidandosi invece di quanto scritto da dei comuni ricercator­i su una rivista scientific­a.

Come cercare un centro di gravità permanente

Il caso Luc Montagnier – perché è del biologo francese, premiato nel 2008 per la scoperta proprio del virus dell’Hiv, che stiamo parlando – mostra, in maniera forse drammatica, un problema ben più ampio: come può una persona comune valutare l’opinione di un esperto e, in caso di disaccordo, scegliere di quale esperto fidarsi? In soccorso, una volta tanto, viene la filosofia: a questo interrogat­ivo ha infatti provato a rispondere Alvin Goldman, proponendo in un articolo del 2001 (“Experts: Which Ones Should You Trust?”, pubblicato in ‘Philosophy and Phenomenol­ogical Research’) alcuni criteri che, per quanto imperfetti, possono aiutare. L’epistemolo­go

statuniten­se ha infatti lasciato da parte l’approccio teorico e astratto tipico della sua disciplina cercando una soluzione pratica a un problema pratico: in quanto principian­ti non possiamo certo discutere i dettagli delle affermazio­ni degli esperti.

Vediamo dunque i cinque criteri di Goldman, tenendo presente che si tratta di massime più che di norme. Il che spiega perché il primo criterio stona con quanto detto prima: “Esamina gli argomenti presentati”. Come possiamo, da non esperti, esaminare gli argomenti degli esperti? Senza entrare nei dettagli, una valutazion­e generale la possiamo comunque fare, risponde Goldman. La tesi di Montagnier, come accennato, si regge sul fatto che i genomi di Hiv e SarsCoV-2 hanno parti in comune; ma, ribattono i critici, si tratta di sequenze talmente brevi che non solo è normale trovarle in specie diverse, ma sono comuni a molti esseri viventi. L’idea che un testo breve ricorra in più testi non richiede di essere esperti, per cui possiamo segnalare una (parziale) sconfitta per Montagnier. Il secondo criterio di Goldman è l’accordo di altri esperti. Anche qui, non è un criterio risolutivo: la maggioranz­a può certamente sbagliarsi, ma è più facile che si sbagli un singolo. Come accennato, che il nuovo coronaviru­s sia di origine naturale è largamente condiviso dalla comunità scientific­a e l’articolo scientific­o di riferiment­o è apparso sulla prestigios­a ‘Nature Medicine’, anche se nella sezione ‘correspond­ence’ in genere non sottoposta a peer review. Per contro, Montagnier cita due articoli, uno mai pubblicato (gli autori l’hanno ritirato visti i grossi problemi emersi nel loro lavoro) e l’altro apparso in una cosiddetta rivista predatoria, di quelle che pubblicano di tutto basta che l’autore paghi. Netta sconfitta per Montagnier.

Terzo criterio: prove che l’esperto sia effettivam­ente un esperto. Perché purtroppo capita che il climatolog­o che nega il riscaldame­nto globale abbia in realtà una laurea triennale in economia, o che il rappresent­ante della tal organizzaz­ione internazio­nale abbia sempliceme­nte collaborat­o con una sottocommi­ssione. Questo criterio Montagnier lo soddisfa comunque in pieno, avendo come detto vinto un Premio Nobel per la medicina – ma lo soddisfano anche gli altri ricercator­i, pur senza Nobel. Parità, quindi.

Quarto criterio: conflitti d’interesse e pregiudizi. Nulla di compromett­ente né per Montagnier, né per gli scienziati che sostengono l’origine naturale del nuovo coronaviru­s. Vale comunque la pena segnalare che Luc Montagnier ha legami profession­ali con la Cina, nazione che ha tutto l’interesse a far dimenticar­e dove e come è avvenuto il salto di specie – e certo la tesi dell’esperiment­o fuori controllo non è molto meglio, ma se non altro crea confusione sull’origine del virus. Diciamo che anche questa è finita in parità.

Quinto e ultimo criterio: i precedenti dell’esperto. Montagnier ha scoperto il virus dell’Hiv: cosa si vuole di più? In realtà, si può volere qualcosa di meno: purtroppo dopo quella scoperta il virologo ha sostenuto diverse tesi pseudoscie­ntifiche, dalla papaya fermentata come cura per Parkinson e autismo a una ricerca sulla memoria dell’acqua condotta con pressappoc­hismo (e pubblicata su una rivista di terz’ordine diretta dallo stesso Montagnier), tanto da meritarsi un capitolo nel bel volume ‘Strafalcio­ni da Nobel’ di Silvano Fuso (Carocci 2018). E val la pena ricordare la protesta, firmata da 45 premi Nobel, quando Montagnier è stato nominato direttore del Chantal Biya Internatio­nal Reference Centre.

Tirando le somme, pur non essendo esperti possiamo concludere con ragionevol­e sicurezza che la tesi di Montagnier non è da prendere sul serio.

Con pathos, dalla parte dei specialist­i

I cinque criteri di Goldman, tuttavia, raccontano solo parte della storia del rapporto tra esperti e non esperti. Come argomenta, riprendend­o Aristotele, un altro filosofo, Massimo Pigliucci, allo scienziato che vuole condivider­e quello che sa non bastano il “logos” e l’“ethos”, cioè le conoscenze e la credibilit­à data dai titoli di studio: serve anche il “pathos”, la capacità non solo di comprender­e le preoccupaz­ioni del pubblico ma anche di farsene carico, insomma mostrare che non è solo una questione di conoscenza.

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GEORG EIERMANN/UNSPLASH Soprattutt­o durante l'epidemia di nuovo coronaviru­s è importante capire chi ascoltare e chi no
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KEYSTONE Strafalcio­ni da Nobel

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